Purtroppo o per fortuna noi agricoltori siamo indelebilmente legati, per varie ragioni, al territorio in cui operiamo, altrimenti anche noi potremmo pensare alla strategia economico-produttiva sempre più in voga nel nostro Paese tra gli imprenditori dell'industria: la delocalizzazione. Ovvero trasferire la propria attività produttiva dove si spende meno e quindi si guadagna di più, abbandonando il nostro Bel-Paese alle sue scempiaggini quotidiane.
L'agricoltore piccolo o medio, però generalmente non lo fa (anche se vi sono naturalmente alcune eccezioni), è romanticamente legato alla sua Terra, per la quale ha, magari, dovuto lottare o fatto enormi sacrifici (e se non lui personalmente, magari la sua famiglia in passato), al suo territorio ed alle sue tradizioni, il cui radicamento (soprattutto al Sud) difficilmente gli consente di trasferirsi in qualche freddo e triste campo dell'Europa dell'EST (quando va male emigra, ma generalmente di agricoltura non vuole più saperne). Nel campo durogranicolo, però, un'insidia particolarmente fastidiosa sta per essere tesa dalla economia globalizzata: l'industria pastaria, tradizionalista sino a qualche anno fa, ha scoperto, essa si, la delocalizzazione. Produrre all'estero, pasta, sembra essere più conveniente di produrla in Italia, ancora meglio se con grano duro proveniente dal paese in cui opera la fabbrica.
L'agricoltore piccolo o medio, però generalmente non lo fa (anche se vi sono naturalmente alcune eccezioni), è romanticamente legato alla sua Terra, per la quale ha, magari, dovuto lottare o fatto enormi sacrifici (e se non lui personalmente, magari la sua famiglia in passato), al suo territorio ed alle sue tradizioni, il cui radicamento (soprattutto al Sud) difficilmente gli consente di trasferirsi in qualche freddo e triste campo dell'Europa dell'EST (quando va male emigra, ma generalmente di agricoltura non vuole più saperne). Nel campo durogranicolo, però, un'insidia particolarmente fastidiosa sta per essere tesa dalla economia globalizzata: l'industria pastaria, tradizionalista sino a qualche anno fa, ha scoperto, essa si, la delocalizzazione. Produrre all'estero, pasta, sembra essere più conveniente di produrla in Italia, ancora meglio se con grano duro proveniente dal paese in cui opera la fabbrica.
Così dopo molti anni in cui soltanto la Barilla aveva perseguito, per soddisfare le richieste dei rispettivi mercati interni, questa strada, segnatamente in Grecia, Turchia, Stati Uniti, e Messico, ultimamente la De Cecco ha deciso di espandersi nel mercato Russo, andando a costituire il primo gruppo pastario in Russia.
La delocalizzazione in Russia, tuttavia, appare più pericolosa, rispetto ai nostri interessi nazionali agricoli. C'è infatti il rischio che approvvigionandosi con granelle tradizionalmente economiche sul mercato russo e sfruttando la manodopera locale a basso costo, tipica delle economie dell'Est, si vada a produrre un prodotto pastario a costi di produzione ridottissimi dedicato non solo al mercato interno russo (togliendo quote di mercato all'export made in Italy peraltro), ma anche potenzialmente in grado di espandersi sul mercato europeo, determinando una concorrenza strategicamente pericolosa (sleale?) al prodotto pastario realmente italiano.
Con i relativi distinguo, assomiglia a ciò che è stato operato dalla Fiat negli ultimi anni, con il trasferimento dei propri impianti produttivi nell'est europeo, a tutto danno, soprattutto, delle produzioni degli impianti del Sud Italia, peraltro umiliati e bistrattati oltremodo.
Per alcuni giornali, incredibilmente, la notizia dello sbarco di De Cecco in Russia è da considerarsi positiva, salutata come un successo economico italiano. In realtà, tranne che per i Signori De Cecco, il sistema produttivo italiano non ne trarrà alcun beneficio, anzi....
La delocalizzazione in Russia, tuttavia, appare più pericolosa, rispetto ai nostri interessi nazionali agricoli. C'è infatti il rischio che approvvigionandosi con granelle tradizionalmente economiche sul mercato russo e sfruttando la manodopera locale a basso costo, tipica delle economie dell'Est, si vada a produrre un prodotto pastario a costi di produzione ridottissimi dedicato non solo al mercato interno russo (togliendo quote di mercato all'export made in Italy peraltro), ma anche potenzialmente in grado di espandersi sul mercato europeo, determinando una concorrenza strategicamente pericolosa (sleale?) al prodotto pastario realmente italiano.
Con i relativi distinguo, assomiglia a ciò che è stato operato dalla Fiat negli ultimi anni, con il trasferimento dei propri impianti produttivi nell'est europeo, a tutto danno, soprattutto, delle produzioni degli impianti del Sud Italia, peraltro umiliati e bistrattati oltremodo.
Per alcuni giornali, incredibilmente, la notizia dello sbarco di De Cecco in Russia è da considerarsi positiva, salutata come un successo economico italiano. In realtà, tranne che per i Signori De Cecco, il sistema produttivo italiano non ne trarrà alcun beneficio, anzi....
Ma dove lo trovano, certi “imprenditori “e “giornalisti “, il coraggio per definirsi tali?
RispondiEliminaQuoto anonimo, ma tolti i "certi" cosa rimane? A seguito della svendita e distruzione dell'IRI com'è che ascoltiamo ancora Prodi che chiede di dare come garanzia di un debito impagabile le nostre aziende (ANZICHE' RIACQUISTARCELE), e non ne chiediamo piuttosto la testa, come in qualunque cività di qualunque tempo, avrebbero già fatto da un pezzo? Siamo alla rovina.. e ci stanno portando di proposito.
RispondiEliminaSi ZBlob, ci stanno portando di proposito alla rovina, concordo (Prodi fa la sua parte, come un pò tutti lì nella stanza dei bottoni).
RispondiEliminaPerò almeno proviamo a vendere cara la pelle, giusto?