domenica 27 gennaio 2013

L'Orgoglio di un Agricoltore Friulano

Oggi vi propongo uno stralcio di un intervento, su un sito agricolo che frequento, di un viticoltore friulano Nicola Manferrari, nettamente contrario all'idea, sempre più di moda, che individua la ridotta competitività della azienda agricola italiana, nella limitatezza della sua superficie media.
Francamente, io mi sono scocciato di sentirmi dire di non essere grande abbastanza (parlo di superficie agricola aziendale, ovviamente). Anche perchè di questo passo, come si dice, ne "rimarrà soltanto UNO".
Il suo intervento è una risposta alle posizioni espresse dal responsabile agricoltura di FID (Fermare il Declino) Giordano Masini, in relazione al programma agricolo di FID.
In alcune sue parti, lo scritto di Nicola è davvero molto profondo, soprattutto quando fa riferimento alla sensibilità di cui necessità un agricoltore per operare nella maniera più proficua. Ed al rapporto che è necessario instaurare direttamente, attraverso anche il lavoro manuale, con la propria azienda.
A voi:
"...mi pare di cogliere alla base del tuo ragionamento il pregiudizio che la grande impresa in quanto tale è efficiente mentre la piccola non lo è. Parrebbe di cogliere dal tuo argomentare che lo ritieni un assioma talmente ovvio da non necessitare di una dimostrazione. Ciò probabilmente mutuato da altri settori per cui mi vien da chiedere se hai mai lavorato dentro un’azienda agricola. Intendendo a livello di produzione, portandoti dietro gli operai in campagna. Perché qui non c’è una catena di montaggio, le macchine che scandiscono il tempo, i robot che lavorano al posto degli uomini, sono gli uomini che fanno o che non fanno a loro liberissimo piacimento. Dico questo perché l’affermazione della maggiore efficienza della grande azienda mi pare cosa da marziani. Da sempre, dai tempi dei romani, s’è fatta una politica agraria tesa a favorire l’assegnazione dei fondi di estensione commisurata alla capacità lavorativa del soggetto o della famiglia destinata alla coltivazione. Una miriade di riforme agrarie furono fatte con il fine di rispettare un tale principio di efficienza. La collettivizzazione della terra in URSS così pure nell’autogestita Jugoslavia, tesa ad accorpare le superfici per realizzare grandi aziende industriali ha ovunque fallito. Per chiunque abbia lavorato la terra la spiegazione appare semplicissima. Il mestiere di contadino è un mestiere duro che necessita di un alto livello di motivazione difficile da ottenere da lavoro salariato. Se a questo si aggiunge l’alto livello di conoscenze necessarie per svolgerlo, specie se si vuole giustamente rompere la monocoltura per realizzare rotazioni e differenziazioni colturali, considerata la quasi inesistente disponibilità di personale già formato sul mercato è chiaro da dove vengono le inefficienze. Per fare bisogna sapere e volere. Dunque l’affermazione che la grande azienda industriale è in grado di differenziare mentre il contadino no la trovo stupefacente. La rotazione è innanzitutto una questione culturale, sì scritto con la “u”, prima che di macchine. L’agricoltura antica era fatta da famiglie contadine che normalmente praticavano nel proprio piccolo fondo decine di colture e di allevamenti. Per realizzare con efficienza ciò bisogna sapere, sentire, conoscere i terreni, le colture, le relazioni fra i primi e le seconde. Storicamente la grande azienda ha tracciato la strada della monocoltura portandosi dietro tutto il resto perché s’era detto con disprezzo che quella delle rotazioni erano pratiche del passato di aziende tese alla alla sussistenza e non orientate al mercato. L’usura dei suoli è stata massima là dove quel modello ha imperato. L’usura dei suoli e l’inquinamento della acque non entrano nel conteggio del PIL. Ora, per quel che mi è dato di vedere intorno a me, le grandi aziende monocolturali hanno difficoltà a gestire l’intero ciclo produttivo di un’unica coltura con i medesimi soggetti così sono costrette a parcellizzare il lavoro. Un’azienda che fa vino avrà i cantinieri in cantina, i trattoristi in campagna, i potatori veri e propri diversi dai trattoristi, gli operai avventizi che finiscono il lavoro grezzo della potatura, e non guidano le macchine, i terzisti per la gestione del cotico erboso, gli specialisti per piantare i vigneti e così via. Siccome le lavorazioni sono stagionali che si fa del potatore quando non ci sono viti da potare? Lo si mette in cassa integrazione, poi se si accontenta della paga e se non c’è la vendemmiatrice forse gli si fa fare un mese di vendemmia così che se tra cassa integrazione e giornate lavorate si raggiungono i 180 giorni si ottiene la disoccupazione in attesa di tornare a potare l’anno successivo. Tutto a carico del contribuente. Naturalmente il tutto condito da una ovvia bassa qualità operativa che se una vite la prendono in mano in dieci anni cinquanta diversi soggetti peraltro scarsamente professionali si può pensare cosa ne rimane alla fine. Da cui le malattie del legno che spadroneggiano e il bisogno di rinnovare gli impianti di frequente attingendo ai fondi europei per la ristrutturazione dei vigneti. E’ forse efficienza questa?
La debolezza della piccola impresa contadina non è dovuta tanto alla sua bassa efficienza intrinseca quanto al fatto che è indebolita da fattori che con la produzione nulla hanno a che fare. La burocrazia innanzitutto. E’ chiaro che se per svolgere gli adempimenti di legge in un’azienda famigliare si devono pagare venti consulenti come io faccio e se per seguire il lavoro degli stessi la figura forte dell’azienda, l’agricoltore, deve rinunciare a fare quello che sa fare meglio delegando il lavoro vero a salariati questo impatta in modo devastante sulla sua efficienza rispetto ad una grande. E’ chiaro che se per fare un cambio di coltura serve una pratica urbanistica oltre che acquisire una licenza da Bruxelles l’efficienza crolla. Ti posso garantire che le eccellenze delle nostre specialità che giustamente citi, ed io opero nel ramo da 31 anni, sono sempre state trainate nel nostro Paese dalle aziende piccole se non piccolissime. Salvo poi spesso subire la concorrenza sleale di soggetti più grossi che per sfruttare l’immagine creata talvolta da soggetti microscopici tendono poi a svilirla a proprio vantaggio uccidendo così la gallina dalle uova d’oro. Il problema della non competitività della piccola azienda nelle eccellenze alimentari non è nei campi, ma viene poi, a valle, con decreto governativo che imponendo standard ingiustificati e costosi ai laboratori di trasformazione mandano i piccoli fuori mercato. Un esempio concreto terra terra? Se il governo come l’ultimo ha fatto, impone di mettere un contrassegno di stato su di una bottiglia, cosa ritenuta inutile dal produttore dal consumatore e dell’intermediario, se per fare quell’operazione il viticoltore deve dotarsi di un macchinario che costa 15.000 €, se tale soggetto fa 100.00 di fatturato quell’operazione impatterà dieci volte di più sui sui conti che se ne fa 1.000.000, cento volte da quello che ne fa 10.000.000, indipendentemente dall’efficienza che quell’azienda sa esprimere. E’ chiaro che se in virtù dei piani urbanistici l’agricoltore di montagna e di collina deve farsi operatore ambientale a proprie spese e suo malgrado, rispetto ad aziende industriali operanti in ambiti non protetti vede erosa la sua competitività. Credo che l’efficienza della grande azienda conquistata per decreto non abbia nulla a che fare con il liberalismo e neppure, credo, con il liberismo. Almeno lo spero. Sbaglio?"

7 commenti:

  1. @perché s’era detto con disprezzo che quella delle rotazioni erano pratiche del passato di aziende tese alla alla sussistenza e non orientate al mercato..

    mi ricorda fine anni 70 le medie cittadine..dopo anni di silenzio finalmente si parla di agricoltura e la prof di scienze fece proprio quel tipo di discorso sull'arretrattezza di quella italica..ferma alle rotazioni comparandola in negativo a quella americana specista..monoculturale..che faceva economia di scala..

    ero molto affezionato alla "arretratezza" della mia famiglia contadina..ci rimasi male e presi in antipatia la prof snob.

    RispondiElimina
  2. competitività e produttività vanno di pari passo con meccanizzazione e industrializzazione-la burocrazia è una leva con la quale si fa forza sui due punti-ma anche senza di essa i 2 punti sopra citati permettono nel breve tempo di abbassare i costi di produzione(successivamente fanno degli enormi danni sociali,ma questo e un altro discorso)e mettono in difficoltà coloro che hanno dimensioni ridotte-come ho gia detto il danno della produttività lo si vede a lungo termine(le fabbriche oggi dismettono o licenziano poichè la tecnologia è talmente avanzata da essere in grado di sostituire operai e aumentare nel contempo la capacità produttiva)ma il piccolo imprenditore non ha risorse abbastanza per resistere a lungo e finisce per svanire-nel campo agricolo qualcosa si puo fare ,organizzandosi in trasformatori e venditori diretti,ma questo non è possibile in tutti i settori-la diversificazione colturale sarebbe obbligatoria ,ma le colture che hanno poco mercato devono essere reimpiegati in azienda---la fienagione dovrebbe servire ad allevare bestiame,il quale dovrebbe produrre formaggi e carni,i quali commercializzati in azienda-non è cosa semplice-e allora ci si butta sulla monocoltura,cavalcando il prodotto del momento-è un cane che si morde la coda-il problema non è la burocrazia ,non sono i decreti legislativi-ma bensi un meccanismo distorto nella ridistribuzione della ricchezza prodotta,e un uso forsennato sempre di piu di tecnologia e meccanizzazione-qui o si distruggono le macchine e si ritorna al lavoro manuale in modo tale che la gente ricominci a lavorare e a guadambiare reddito con il quale aumentare i consumi e il tenore di vita,o si riformula integralmente un nuovo meccanismo che regoli la ridistribuzione della ricchezza prodotta tra tutti i partecipanti alla vita sociale-purtroppo ,noi stiamo vivendo il capitalismo,non il liberismo-la burocrazia è solo uno strumento per fare accrescere l utilizzo della tecnologia,con il quale accrescere la produttività,peccato che gli operai sostituita da essa non hanno piu reddito da spendere,a scapito dei consumi, allora la maggiore produttività tende ad invadere altri paesi in cerca di collocamento causando altri disoccupati e via via discorrendo-in pratica è quello che sta avvenendo oggi-non penso che distruggeremo le macchine,ma ebbene attrezzarsi per creare un nuovo modello di ridistribuzione della ricchezza prodotta-

    RispondiElimina
  3. Io credo che le minacce alla piccola e media azienda agricola giungano incrociate e sincronizzate da più fronti.
    Da un lato l'azione della burocrazia che tende spesso inutilmente a complicare l'attività del piccolo imponendogli costi e tempi, per assolvere adempimenti talvolta assurdi, non ammortizzabili per un piccolo (in Sicilia la zootecnica è stata fatta a pezzi in questo modo, ad esempio).
    Dall'altro come dice Mimmo, il ricorso smodato a tecnologie e macchine non fa e farà altro che ridurre nel tempo l'importanza del ruolo dell'agricoltore.
    Le tecnologie e le macchine(gli OGM per esempio, o i trattori di ultima generazione con guida automatica) sono realizzate alla fin fine per fare a meno di noi. L'ideotipo è infatti quello della pianta o dell'azienda che fa tutto da se.
    A quel punto il nostro ruolo di agricoltori con una marcia in più sarà inutile e sostituibile da qualsiasi salariato, che con un joistick ed orari da ufficio, sarà in grado di seminare e raccogliere comodamente (magari assolvendo da solo al lavoro di 20 di noi).
    Così eliminare o tagliare il ruolo dello Stato o limitarlo (come propongono alcune forse politiche), non credo che nel lungo periodo consentirà alla piccola impresa di resistere. Per come lo vedo io, il liberismo senza regole insieme al progresso tecnologico, non faranno altro che esaltare il Capitale rispetto agli altri fattori della produzione. Insomma avendo denaro per acquistare terreni e tecnologia si avrà sempre meno bisogno degli operatori professionali. Ed alla fine quello che è già successo nel settore del commercio con la GDO (e la morte dei piccoli esercizi), avverrebbe anche in agricoltura.
    Redistribuire la ricchezza (che in teoria avrebbe un senso in questo scenario) come dice Mimmo lo vedo un processo improbabile, visto che quando si diventa talmente ricco e potente rispetto agli altri e si possiede anche la tecnologia per anestetizzare i riottosi, è davvero molto difficile che ciò si consenta e peraltro per la mia visione ciascuno di noi dovrebbe essere messo nelle condizioni di potersi guadagnare di che vivere con le proprie forze.
    Così pur essendo uno strenuo avversatore di questo Stato Italiano, credo che lo Stato, in generale, però debba ancora giocare un ruolo importante nella vicenda umana. Soltanto lui facendo gli interessi del suo popolo, potrà porre dei limiti al Potere sempre crescente del Capitale sul lavoro dell'Uomo, trovando un equilibrio.
    La vera libertà, secondo me, non è quella dei mercati, ma quella di ciascun individuo di poter svolgere la propria attività e di ottenere una propria autonomia ed indipendenza economica.

    va bé dai facciamolo dire a Roosevelt:
    "La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza ed indipendenza economica."

    RispondiElimina
  4. Per realizzare la trasposizione dell'industrializzazione all'agricoltura, ovvero l'ideotipo di pianta ( assurdo) e azienda che fa tutto da sè al suolo, servirebbero una miriade di sistemi azienda piante, animali che sappiano, autocorreggersi in tempo reale, monitorando in continuo, le variazioni di situazioni ambientali, locali e metereologiche, attualmente imprevedibili nei tempi utili a trovarvi rimedio e sovente perfino sconosciuti all'elite che ideologizza simili ideotipi.
    Un sistema che funziona esiste già si chiama natura,ma dell'essere umano in sé, pare se ne infischi ampiamente.
    E' l'uomo, al momento l'unica “macchina” che potrebbe avere intelligenza ,consapevolezza e convenienza a interagire con la natura e i propri simili,se ci prova la definisce madre.Altri la definiscono matrigna.specie quando escono sconfitti dal tentativo di dominarla, esclusivamente pro domus suo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ok, ma non pensi che questo sia il disegno delle elite? poi se è fattibile o meno è un altro discorso...

      Elimina
  5. Belle riflessioni .. finalmente da una parte un programma politico che affronta con competenza i temi agricoli, (maledetto quorum.. se no lo voterei senza riserve), dall'altra quelle di un agricoltore vero ...sono in contrapposizione?non proprio. Prima disamina far coincidere il concetto di grande azienda con la sua estensione è obsoleto e fuorviante ,non c'è dubbio .Esistono 1000 agricolture e mille tipologie di aziende .Il discrimine è fra 2 blocchi il cui secondo è diviso a sua volta in 2 sottocategorie. Il male italiano è la presenza di una miriade di microaziende che vengono condotte, part-time, da occupati di altri settori che hanno un'oggettiva diseconomia di scala ma che se non drenassero,come fanno oggi,risorse pubbliche avrebbero comunque una funzione ,se non altro di ammortizzatore sociale.Il secondo gruppo sono le aziende diretto coltivatrici e quelle in economia con salariati. le prime ritagliano il loro zoccolo duro al perseguimento della retribuzione del lavoro apportato, quindi l'azienda dovrà essere tanto grande o tanto intensiva o tanto multifunzionale ,quanto riesca a soddisfare tale retribuzione . Certo questo è comunque ingiusto, perchè mortifica in ogni caso l'apporto imprenditoriale che sempre + oggi, è richiesto nella conduzione aziendale, e non si deve sostituire il concetto del vivere dignitosamente con la mera sopravvivenza.La seconda ha chiaramente il gravame di sostenere un ingente costo del lavoro che fa alzare notevolmente l'asticella del fatturato, x renderla economicamente funzionale. Certo in questo caso l'imprenditore ha il tempo ,e deve avere le capacità, x assolvere al suo ruolo di manager aziendale, in modo da utilizzare al meglio le opportunità e rintuzzare i mille adempimenti burocratici . Come prima detto questa nuova essenziale funzione ,deve essere assolta anche nella tipologia dirertto-coltivatrice ,perchè ci piaccia o no ,e non ci piace, il contesto è ormai questo .Altro impatto che ha acquisito rilevante peso ,è la meccanizzazione .La consistenza aziendale (capacità di produrre reddito) deve essere proporzionata agli investimenti in attrezzature e ai loro ammortamenti.Certo oggi c'è un esubero di cv e ognuno di noi compete socialmente ,con il nuovo trattore super accessoriato ,cosa comunque molto + sana delle antiquate esibizioni di macchinone super sportive.Certo chi non si ricorda, quanto hanno stentato le prime cabine con aria condizionata sui trattori e suille mietitrebbie...oggi qualcuno potrebbe farne a meno?e soprattutto ,sarebbe giusto farne a meno? o forse la dignità del lavoro agricolo va ,anche con ragione ,puntualizzata ,con queste conquiste che forse non ottimizzano ma sicuramente rendono meno disagevole e decoroso il lavoro agricolo?
    In definitiva ,sicuramente in Italia esistono una pletora di micro imprese che creano diseconomie che non vanno soppresse ma semplicemente non considerate imprese agricole. Le altre che non sono le grandi aziende ma semplicemente quelle che sono imprese cioè
    che strutturalmente e almeno figurativamente, siano in grado di ottenere un profitto o in quelle diretto coltivatrici,al limite e non giusto ,un pareggio di bilancio .

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Fossi in Giannino mi preoccuperei. Molti simpatizzanti di FID, da quello che leggo, non lo voteranno infine perché ritengono improbabile che superi il quorum del 4% alla Camera. Valore soglia sotto il quale nessun deputato verrà eletto.
      Personalmente sono totalmente contrario all'idea di apertura totale al mercato globale che anima FID, quindi in qualche modo, la cosa non mi scompone. Spero solo che il suo consenso alla fine non si riversi nella sua pessima brutta copia, ovvero Mario Monti e compagnia danzante.
      Non resisto a segnalarvi la perfomance di Crozza su Rota Vender.
      http://www.cadoinpiedi.it/2013/01/28/gli_aneddoti_di_lidia_rota_vender.html

      Per il resto credo amaramente che la filosofia del trattore con l'aria condizionata (di cui io sono abbondantemente dotato, confesso, anzi la devo revisionare prima del prossimo caldo), seppur oramai irrinunciabile sarà la tomba dell'agricoltore.
      Purtroppo più un lavoro diventa facile ed agevole, meno risolutore ed importante diventa il ruolo dell'operatore.
      Così se prima necessitavano 1000 tratturisti, oggi ne servono 100 per lo stesso appezzamento, domani 10.
      Non ho ancora capito quale ruolo sociale alternativo è previsto per i 990 che rimangono a casa.

      Elimina