venerdì 25 gennaio 2013

Le proposte agricole di FID (Fare per Fermare il Declino)

Chi ci segue lo sa, qui non si fa riferimento a nessun partito e tanto meno si fa il "tifo" per alcuna parte politica a priori. Siamo infatti pronti a plaudire a qualsiasi iniziativa agricola sensata che possa provenire dalla estrema sinistra alla estrema destra, come da coloro che stanno giù, su e di lato. Ancor più pronti naturalmente siamo nelle critiche, visto che le occasioni sono spesso numerose.


Così qualsiasi proposta politica di carattere agricolo, avanzata con competenza e coerenza (sono così rare), la consideriamo un apporto costruttivo allo sviluppo del nostro settore e meritevole di attenzione.
Orbene, le elezioni politiche sono alle porte, e siamo nel pieno della bagarre propagandistica. E l'agricoltura? Come sempre latitante, se non per generici annunci che lasciano il tempo che trovano.
In questo contesto non possiamo, così, fare a meno di apprezzare lo sforzo di FID nel presentare una proposta agricola abbastanza dettagliata; soprattutto se tenete conto che fornire troppi dettagli non conviene ai partiti o movimenti politici, perché il più delle volte nelle proposte concrete l'elettorato si divide, mentre se ci si ferma ai grandi principi si è quasi tutti d'accordo, prima, salvo scoprire, poi, che la loro attuazione è diametralmente opposta a ciò che si intendeva. 
Così vi presenterò di seguito l'approfondimento programmatico di FID per l'agricoltura, al quale, possiamo tranquillamente affermare senza timore di smentite, che il blog (incredibile ma vero) ha fornito ispirazione per 1-2 punti. 

Vediamoli (le proposte di FID sono puntate, mentre in corsivo sotto la mia posizione su ciascuna proposta):


  • La superficie media dell’impresa agricola italiana è di 7,9 ettari a fronte dei  53 di quella francese, i 56 di quella tedesca, i 65 di quella danese, i 79 di quella del Regno Unito e i 152 di quella Ceca. E’ la fotografia di un sistema produttivo che sconta inefficienze decennali, frutto prima di tutto di una eccessiva frammentazione fondiaria e di un utilizzo delle risorse della Politica Agricola Comune finalizzato prevalentemente a sostenere lo status quo piuttosto che a superare le cause profonde di queste inefficienze.
1) Condivisibile la critica alla PAC, come strumento di conservazione. L'ampiezza della superficie media aziendale non può però essere un metro unico e rappresentativo sul quale valutare l'efficienza aziendale, se pensiamo a quanto è variegata ma non per questo superata, l'impresa agricola in Italia di superficie ridotta, dalle realtà iperintensive delle colture protette alle aziende dedite alla vendita diretta dei prodotti agricoli a Km 0. Non si capirebbe altrimenti come mai la massima superficie media regionale si trovi in Sardegna, che tuttavia ha una delle agricolture più povere del Paese.
La superficie media aziendale italiana effettiva, poi, è molto più alta di quanto risulti in base alla proprietà (anche l'ultimo Censimento lo afferma). Molti terreni sono gestiti in uso ed affitto (verbale in molti casi almeno al Sud) da imprenditori agricoli che così già operano su aziende molto estese.
  • E’ necessario rimuovere tutti gli ostacoli, prevalentemente di natura burocratica, che ostacolano l’accorpamento fondiario, e riformulare il sistema di erogazione degli aiuti diretti della PAC secondo criteri che incentivino la piccola impresa a cercare forme innovative di aggregazione dell’offerta fin dalle fasi di produzione. Va ripristinata la norma, abrogata dal Governo Monti, che consentiva anche alle società di capitali di poter optare per la tassazione su base catastale.
2) Condivisibile rimuovere ostacoli ed aggregare offerta. Non assolutamente condivisibile favorire o estendere, le attuali prerogative degli agricoltori, alle società di Capitali. 
  • Il sostegno al reddito dovrebbe essere ripensato come una forma di welfare a termine, teso ad accompagnare l’impresa improduttiva senza traumi fuori dal mercato, piuttosto che un sistema di erogazione ed intermediazione di microrendite, e un modo per sostenere in eterno attività produttive inefficienti e decotte.
3) Non condivisibile. Il sostegno al reddito va indirizzato principalmente a chi, attualmente, pratica attività agricola produttiva e  va sganciato dal welfare, che dovrà avere una sua autonomia e sostenibilità nel tempo. 
  • La tassazione patrimoniale sui terreni e fabbricati rurali deve essere oggetto di una profonda riforma, che includa in un’unica voce anche i contributi generali di bonifica, e che consideri la vocazione strumentale dei fabbricati rurali. Gli aumenti sconsiderati dell’IMU agricola vanno rivisti, così come vanno superati gli astrusi regimi di deroghe ed esenzioni su base territoriale. I consorzi di bonifica vanno sottoposti a una severa valutazione delle performances, che preveda la possibilità di soppressione di quegli enti che non rispettino elementari rapporti tra costi per i contribuenti e benefici per la collettività.
4) Non condivisibile in parte. Non si possono uniformare le imposte tra i territori svantaggiati e non, senza prima avere uniformato la PAC che è profondamente discriminante tra territori e colture, e verosimilmente, visto gli ultimi indirizzi della Commissione UE, lo rimarrà in futuro.
  • I criteri attraverso i quali vengono erogati gli aiuti allo sviluppo, attraverso i Piani di Sviluppo Rurale redatti dalle regioni, devono essere fondati su una rigorosa analisi scientifica che riconosca il contributo positivo dell’innovazione tecnologica e dell’intensificazione agricola per la biodiversità e la salvaguardia ambientale. Oggi una grossa fetta di questi aiuti vengono elargiti a realtà associative, consortili, sindacali, politiche, nonché agli stessi enti locali, che non hanno nulla a che fare con l’agricoltura. Un modo attraverso il quale la politica, mediante la PAC, contribuisce a finanziare sé stessa e uno spreco di risorse al quale va posto rimedio al più presto.
5) Condivisibile, anche se con le rigorose analisi scientifiche non si sa mai dove si va a parare.
  • Non si può continuare a negare, alle imprese agricole italiane, il diritto di avvalersi delle tecnologie che migliorano le rese unitarie o garantiscono rese analoghe con minori imputs produttivi. Il bando all’uso delle varietà geneticamente modificate iscritte al catalogo comune europeo, per le quali nessuna evidenza scientifica ha mai dimostrato pericoli per la salute umana e per l’ambiente, deve essere rimosso. Allo stesso tempo va rimosso l’anacronistico bando alla ricerca in campo aperto sulle biotecnologie agrarie, che potrebbe rappresentare un fondamentale strumento per il recupero e la difesa di importanti varietà tradizionali italiane.
6) Non condivisibile l'apertura alla coltivazione di OGM con brevetti stranieri. Condivisibile la rimozione del bando per la ricerca.
  • Anche le norme che impongono agli agricoltori limiti all’utilizzo di semente autoprodotta sono in contraddizione con i più elementari principi di libertà di impresa, e vanno superate.
7) Condivisibile (eh,eh..).
  • I consorzi che tutelano le Denominazioni di Origine hanno lo scopo di garantire al consumatore che un determinato prodotto provenga da un determinato luogo e sia stato fatto secondo un determinato disciplinare di produzione. Qualsiasi altra funzione, pur riconosciuta dalla legge, di controllo dell’offerta e di stabilizzazione del mercato rappresenta una violazione dei principi della libera concorrenza, oltre a un disincentivo agli investimenti proprio nei settori a più alto valore aggiunto. La fine del sistema di contingentazione delle superfici viticole e la liberalizzazione dei diritti di reimpianto dei vigneti, prevista per il 2015, va vista come un’opportunità di sviluppo e di rilancio per il settore vinicolo italiano.
8) Condivisibile.
  • Una riforma strutturale delle norme che regolano l’attività venatoria, in un senso più rispettoso dei diritti di proprietà, potrebbe condurre a nuove opportunità di reddito per l’impresa agricola, a una maggiore salvaguardia della fauna selvatica e a consistenti risparmi per lo Stato e gli Enti Locali.
9) Neutrale, vanno valutati vari aspetti.
  • L’art. 62 del decreto liberalizzazioni, che impone una contrattualizzazione forzata di tutte le transazioni commerciali che abbiano come oggetto prodotti agroalimentari, costituisce un’intollerabile intromissione dell’autorità pubblica nei rapporti tra soggetti privati. Se l’intenzione dichiarata del decreto, che impone un termine massimo di 30 giorni per il pagamento di prodotti deperibili e 60 per tutti gli altri, sarebbe quella di riequilibrare il peso del piccolo produttore di fronte alla GDO, si può dire che l’obbiettivo viene mancato clamorosamente. In primo luogo perché quello che non si riflette sui tempi di pagamento si rifletterà inevitabilmente sul prezzo o sulla scelta di diversi fornitori, specialmente esteri. In secondo luogo perché i primi a fare le spese di questo sistema sono proprio gli agricoltori, che non possono più liberamente scegliere di pagare “a raccolto” i loro fornitori, finendo costretti a dover ricorrere al credito (in un periodo di feroce stretta creditizia) per finanziare gli acquisti.
10) Non condivisibile, il ruolo dello Stato è proprio quello di tutelare gli scambi ed i contratti tra i privati. Eventuali piccole modifiche potrebbero migliorare il provvedimento. Ma l'Art.62 tutela gli agricoltori in generale. Nella proposta si auspica la possibilità di farsi strozzare liberamente e senza regole dalla GDO, assolutamente non condivisibile.
  • Numerose evidenze supportate dalle risultanze di indagini investigative hanno portato alla luce tali e tante incongruenze nella gestione delle anagrafi bovine e dell’intero sistema di gestione delle quote latte e delle erogazioni in agricoltura, da suggerire la possibilità, tutt’altro che remota, che l’Italia non abbia mai sforato la quota nazionale ad essa assegnata, e che di conseguenza i prelievi sugli allevatori siano di fatto illegittimi. Qualsiasi decisione in merito alla riscossione dei tributi agli allevatori deve essere subordinata alla piena chiarezza su queste vicende.
11) Questa, in tutta onestà, mi sembra una boutade fuori dal contesto, giusto per accaparrarsi qualche voto Nordico. Non mi esprimo perché non conosco a fondo la  materia. Ma  tutti quelli che hanno pagato le multe ed hanno rispettato le quote sono stati dei fessi, allora?


Si può essere d'accordo o meno, ma rispetto alla irrilevanza della politica agricola della Agenda Monti,  questi Punti programmatici hanno una certa profondità ed entrano nel merito delle questioni (altri partiti, al momento, non pervenuti). Ciò è apprezzabile, almeno da parte mia. Cosa manca, tuttavia?
Manca una presa di posizione (contraria) sulla stipula dei Trattati di Libero Scambio tra UE e Paesi Nord-Africani, che aprono i nostri mercati ai loro prodotti, ma non consentono a molti dei nostri prodotti agricoli di penetrare i loro (incredibile, ma vero!).
Ed in generale si continua ad eludere il problema principale: come risolvere le sperequazioni tra i costi di una azienda, efficiente, localizzata in un Paese Occidentale come Italia (record di pressione fiscale e burocrazia) e quelli di una azienda  (altrettanto efficiente) localizzata a pochi Km di distanza, in un Paese in via di Sviluppo, nel quale i costi di lavoro, energia, adeguamenti ambientali e quant'altro, sono radicalmente inferiori?
Per me, questo rimane e rimarrà il grande interrogativo per quanti sponsorizzano il grande mercato globale come risolutore di tutti i problemi.
E visto che non ho trovato, sinora, mai risposta convincente, credo che la proposta di FID non faccia per me! In altre parole, rimango moderatamente protezionista no-global!

Per il resto vi segnalo l'ultima dei Mohicani (scusate...Montiani) sull'IMU, QUI. Senza parole...ancor di più se teniamo conto, che, chi le ha proferite, proviene in qualche modo dal Mondo Agricolo.


1 commento:

  1. Intanto Il PD ci mette al centro: vedremo

    http://www.partitodemocratico.it/doc/249322/elezioni-politiche-2013-pd-litalia-giusta-mette-lagricoltura-al-centro.htm

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