sabato 7 luglio 2012

Pastificio Antonio Amato: la solita storia italiana...ma a lieto fine?

Non so se ricordate nel 2006, durante i Mondiali di Calcio vinti dall'Italia, uno degli sponsor principali, oltre che fornitore ufficiale, della Nazionale era il pastificio Antonio Amato.
Bei tempi, poi nel 2009 improvvisamente la produzione viene bloccata, nel 2011 il fallimento, quindi pochi giorni fa l'arresto per bancarotta fraudolenta di un erede Amato più alcuni politici-politicanti locali.


La Storia del pastificio era iniziata nel 1868, ma negli anni più recenti appunto tante traversie ne avevano minano la solidità,  ed a un certo punto sembrava che l'opificio (comprensivo di mulino) dovesse finire in mano del siciliano Giovanni Giudice, imprenditore nel ramo dei concimi chimici in Sicilia.
Nel frattempo si era innescata una battaglia giudiziaria lunga e tormentata che portò anche alla chiusura degli impianti per parecchi mesi ed alla esasperazione dei dipendenti. 
Ora sembra averla spuntata, su tutti i pretendenti, il Gruppo Di Martino, proprietario del pastificio di Gragnano. La produzione dovrebbe essere ripresa....e vedremo presto con quali risultati.

Al mondo dei gourmet e degli appassionati di pasta, Di Martino è conosciuto soprattutto per il marchio "Pastificio dei Campi" che si è posto come obiettivo la produzione di pasta di più alta qualità (e forse anche più costosa, visto che a Milano arriva a costare anche 11 €/kg), oltre a diffondere la conoscenza della pasta di Gragnano (Giuseppe Di Martino è anche Presidente del Consorzio di tutela).

Di Martino e Gragnano, l'antica città dei maccheroni, si avviano ad una nuova età dell'oro? Certo con i prezzi praticati ed i tempi di crisi non appare scontato, ma probabilmente con il pastificio Amato si avvierà la produzione di un prodotto più commerciale per tutte le tasche.






7 commenti:

  1. un buon esempio di agroalimentare a due marce...cosa che dovrebbe funzionare, almeno sulla carta. come ci insegna l'economia e il marketing bisogna differenziare il prodotto in base al target dei consumatori. l'agroindustria studia...l'agricoltura meno...

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  2. No, non sono d'accordo. In pratica cosa dovrebbe fare un agricoltore che produce grano per differenziare il prodotto e venire incontro alle esigenze dei consumatori?
    Io credo che non ci potrà mai essere un rapporto diretto con il consumatore per noi cerealicoltori e per tutti i produttori di materie prime che necessitano di trasformazione, a meno che non ci si trasforma in agroindustriali, ma questo passaggio non è semplice, ma anzi è molto rischioso, e non si può pretendere che un agricoltore ordinario sia capace di mettere su un opificio.

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    1. ERA IMMAGINABILE, UN SECOLO FA, CHE UN AGRICOLTORE SAREBBE DIVENTATO UN CONDUTTORE DI MACCHINE?

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    2. secondo me, si. Un carro trainato da bovi è una macchina, a trazione animale, ma sempre una macchina è.
      Aratri, erpici, seminatrici, esistono da secoli, è cambiata soltanto la fonte di energia.

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  3. Il mio era un commento più generale rivolto verso il settore agricolo. certo che chi produce materie prime ha poco da scervellarsi se non mettere tutto il proprio impegno nel fornire alle componenti a valle della propria filiera un prodotto quanto più idoneo possibile.

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    1. sebbene apprezzi Iceman quasi sempre, in questo caso a mio modo di vedere scivola nel luogo comune e sposa un argomento caro all'agro-industria.
      Un agricoltore deve tendere a produrre ciò che conviene economicamente alla propria azienda ed al proprio bilancio. Se ciò coinciderà con un prodotto apprezzato dall'agrindustria (non sempre è così, visto che a volte le spese superano il maggiore valore del prodotto), bene, se invece sarà un prodotto di massa a garantirgli un reddito più elevato, ancora meglio.

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