lunedì 1 agosto 2011

Nuove opportunità per i terreni agricoli? Una amara riflessione dal Nord-Italia/1


Intere generazioni di figli di agricoltori del nord-Italia, hanno trovato, nei decenni scorsi, il motore del loro benessere, in ampie possibilità lavorative extragricole, che gli hanno permesso di marginalizzare, se non abbandonare del tutto, l'attività agricola, ricavando in alcuni casi anche un guadagno ulteriore, dalla vendita del proprio terreno.

Mentre per altri proprietari di terreno, l'affitto, spesso in deroga, nelle zone a forte vocazione agricola, ha costituito una rendita, in molti casi superiore ai contributi pac. Nelle zone marginali, l'affitto ha permesso ai proprietari di mettere in stand-by il loro patrimonio, con un minimo di sicurezza e copertura di spese ( tasse consortili, ici, irpef), in attesa di più favorevoli cambi destinazione d'uso urbanistico, industriale, che in passato puntualmente si sono verificati.
Tutto questo ha permesso a molte aziende agricole, che permanevano sul territorio, di ampliare la propria Sau seppur con molte difficoltà derivanti dai seguenti aspetti:
-i terreni in vendita sono sempre stati relativamente pochi;
-le considerazioni che ogni singolo proprietario ha della fertilità e delle aspettative di cambio destinazione d'uso del suo terreno, sono tali da rendere negoziabili i propri terreni solo a cifre improponibili per un agricoltore, che vuole ampliare la propria azienda, per finalità meramente agricole.
Ad aggravare la situazione per il riordino fondiario, hanno contribuito la costruzione di diverse infrastrutture e l'espansione dei piani regolatori che oltre a sottrarre SAU, hanno aumentato i frazionamenti e gli spezzettamenti dei terreni rimasti a destinazione agricola.
Negli ultimi anni, poi, si sono inseriti anche investitori finanziari, che hanno contribuito ad aumentare i prezzi di scambio. Questa ulteriore competizione, di cui hanno beneficiato i possidenti di terreno, ha reso aleatorio l'affitto, improponibile l'acquisto di terreno agli agricoltori, più propensi peraltro, dovendo investire, a investimenti strutturali, finanziati tuttavia con forti esposizioni bancarie.
Così gli interessi bancari si ripercuotono fortemente e negativamente sui costi di gestione e sulla produttività aziendale, alla quale ancora non le si rende il giusto peso, perché protesi da una parte, alla massimizzazione della resa produttiva per ettaro, senza troppo sottilizzare su mezzi e costi, e dall'altra alla cosiddetta “produzione di qualità made in Italy” (sostanzialmente di nicchia), trascurando colpevolmente gran parte dell'agricoltura produttiva, estensiva e convenzionale.
Dopo decenni in cui ci si era convinti che non fosse necessario investire più di tanto, nelle materie prime agricole di massa, in quanto le commodities era più conveniente importarle dall'estero che produrle, ecco che l'aumento del costo dell'energia e le problematiche ad esso connesse hanno trasformato la visione della terra da bene rifugio a opportunità di business. Noi agricoltori del Nord, abbiamo iniziato ad averne sentore, circa 5-6 anni fa, quando dopo anni che non ci filava nessuno, escluso qualche venditore di mezzi tecnici, hanno iniziato a farci visita nelle aziende nuovi e strani personaggi, che estraendo dalle valigette corposi dépliant e business- plan, ci informavano che erano finiti i tempi bui (erano gli anni dei cereali a 120-130 €/t, e del latte a 29 centesimi di €) e stava invece iniziando per gli ex bifolchi, una nuova era, nella quale se ci sapevano fare, sarebbero diventati ricchi, rispettati, evoluti....ben visti (anche da chi seguiva la moda che considerava solo il made in Italy, il biologico la filiera corta etc.), in quanto operatori della green economy...la nuova parola d'ordine...il futuro radioso.
Alcune aziende più grandi, con terreni in proprietà e affitti di lunga durata, in crisi economica per i motivi di cui sopra, hanno potuto valutare seriamente queste opportunità. Tuttavia non essendo in grado di essere autonome finanziariamente per via degli alti costi di impianti, si sono legate in diversi modi a investitori e finanziarie, consorzi,etc. che, generalmente , hanno l'interesse a mantenere il controllo delle società che gestiscono grandi impianti fotovoltaici a terra, o di biomasse.
A diversi agricoltori che han provato a tener duro e mantenere la maggioranza societaria è successo che gli impianti dopo 3, ma anche 5 anni, pur in costruzione o addirittura ultimati, non sono ancora stati avviati alla produzione di energia, per diversi motivi: burocrazia, ritardi, confusione normativa etc.
A quel punto gli agricoltori, non avendo più un euro, sono stati costretti a cedere il controllo, diventando soci di minoranza.
In alcun casi le finanziarie sono fallite, l'impianto non è finito, la terra inutilizzabile, spesso gli agricoltori non hanno, nemmeno più a che fare con la prima finanziaria, con cui han fatto il preliminare, ma con una seconda, una terza, e si ritrovano ad avere a che fare con persone diverse dalle prime e sono costrette a ricorrere ad un buon avvocato per districarsi tra i vari contratti, con conseguenti costi aggiuntivi.
Dove sono stati avviati gli impianti, le produzioni di energia, per ora si mantengono al di sotto di quanto previsto dai business plan.
(continua)







5 commenti:

  1. Grazie Granturco per il tuo verace contributo.
    Sei per me, che sono siciliano, l'uomo che viene dal futuro.

    Carissimi colleghi, leggete, meditate, e pensateci sei volte prima di investire nelle rinnovabili, non è tutt'oro quello che luccica. La Terra pur tra le mille difficoltà attuali ha un prospero futuro (agricolo) davanti a se. Non mollate proprio ora.

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  2. Granduro
    Il futuro è tutto da giocare.Non basta nemmeno conoscere gli errori di altri,per essere certi di non farne .se ne faranno comunque di nuovi.Servono informazione,cultura e collaborazione già nel presente, per poterne fare molti meno,o perlomeno corregersi prima che diventino gravi e irreversibili.Noi al nord questo non lo abbiamo fatto a sufficienza,poca informazione e dibattiti pubblici ed erano cose che ci riguardavano,
    Se si sbaglia strada ,non è un gran vantaggio essere partiti prima..

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  3. Infatti, il vantaggio potrebbe essere per noi che assistiamo ai vostri errori.
    Sei molto utile per noi a questo punto, lo sapesse Bossi ti radierebbe dalla Padania.

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  4. La padania giuridicamente non esiste,esistono le regioni..lo stato,la comunità europea...l'importante è non violarne le relative leggi,

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  5. La tua risposta tremendamente seria, mi da molto da pensare. Evidentemente la Padania non è uno scherzo come sembra a noi da qui, per intervenire tu in maniera così precisa.

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