giovedì 10 ottobre 2013

Proposta FIMA sulla Durogranicoltura

Dopo l'audizione Parlamentare, sulla crisi Grano Duro, delle Organizzazioni di Categoria canoniche di cui già vi riferii qui, ora tocca alla FIMA (Federazione Italiana Monvimenti Agricoli), che mi aggiorna puntualmente e che dimostra di seguire con una certa attenzione gli argomenti ed il dibattito portati avanti nel blog. Ma purtroppo le soluzioni non sono quelle auspicate.






Eccovi il lungo resoconto, ed il video dell'audizione QUI.


Roma, 10 Ottobre 2013

  COMUNICATO STAMPA

Pac e Grano duro, Fima: scenario allarmante per le regioni del sud, chiuse 224 mila aziende. Audizione in Comagri.

La XIII Commissione agricoltura della Camera, presieduta dall’ On. Paolo Cova, ha ascoltato l’ 8 ottobre in audizione la Fima, Federazione Italiana Movimenti Agricoli, su Pac e  problematiche del grano duro.
Alla presenza di numerosi deputati, è intervenuto il coordinatore nazionale Fima Saverio De Bonis che ha illustrato il parere della Federazione sulla nuova Pac e si è soffermato sugli annosi problemi del grano duro italiano, consegnando due documenti alla Commissione.
“Gli agricoltori – dichiara il coordinatore Fima – vogliono una Pac che premi chi produce e vive di sola agricoltura. Per questo, adesso che l’ Italia deve declinare adeguatamente la riforma in ambito nazionale e le risorse si sono assottigliate, occorre mirare gli aiuti per recuperare la forte perdita di reddito subita dagli agricoltori italiani rispetto ai colleghi europei che ha costretto alla chiusura migliaia di aziende agricole”.
“A tal proposito - aggiunge - sarà decisivo il modo in cui verrà definita la figura dell’ agricoltore attivo e la velocità di erogazione degli aiuti affinché la nuova riforma ci avvicini all’ Europa e non ci separi”.
Sulla vicenda del grano, “per contrastare l’ ennesima speculazione in atto - evidenzia De Bonis - è tempo di attuare il divieto di vendita sottocosto delle materie prime agricole previsto dall’ art 62. La norma c’è ma non si applica”. Inoltre - sottolinea - i regolamenti delle attuali borse merci sono datate di un secolo ed in contrasto con la normativa europea antitrust. Affinché i mercati possano funzionare meglio occorre prima di tutto garantire una buona informazione, la trasparenza e la neutralità dei commissari, attraverso una commissione unica nazionale. E’ pertanto necessario - aggiunge - rivedere l’ intero sistema delle Borse merci nazionali, sempre più maschere di meccanismi di cartello a danno dei produttori e consumatori. Servono, però, regole cogenti di funzionamento emanate dallo Stato, per evitare che le lobby le annacquino, come già accade in altre filiere”.
 “Le regioni del Sud – fa notare – una volta erano il granaio dell’ Europa con in testa la Sicilia, Puglia e Basilicata. Oggi, prezzi di vendita al ribasso e svalutati rispetto a venti anni fa, costi di produzione in progressivo aumento, mercati poco trasparenti, oppressione fiscale e stretta creditizia, scarsa tutela sindacale e assenza di controlli sui prodotti alimentari, definiscono un quadro molto grave della situazione agricola del Paese e, in particolare, della cerealicoltura del mezzogiorno. Solo in queste regioni in dieci anni hanno chiuso 224 mila aziende, di cui nessuno parla”.
“Per avere un’ idea della perdita del nostro potere d’ acquisto - spiega De Bonis - all’epoca con 80 qli di grano si poteva comprare un piccolo trattore, oggi si possono comprare solo i pneumatici! I fornai, al contrario, da un quintale di grano duro che costa 25 euro ottengono un quintale di pane da cui ricavano almeno 250 euro al sud! Un valore aggiunto che si decuplica in maniera spropositata grazie agli egoismi della filiera. Basterebbe dividere in tre parti tale valore (1/3 a chi produce la materia prima, 1/3 a chi la trasforma e 1/3 a chi la distribuisce) e agli agricoltori arriverebbero 80 euro a quintale. La filiera così raggiungerebbe velocemente il riequilibrio dei redditi”.
In una piccola regione come la Basilicata, al terzo posto come produttore di grano duro, negli ultimi dieci anni si è quasi dimezzato il numero delle aziende agricole (erano 81.922 nel 2000, sono calate a 51.756 nel 2010 (-26,8%) e si è ridotta la superficie (la Sau è passata da 537.695 ettari nel 2000 a 519.127 ettari nel 2010 (-3,4%).
In Puglia e in Sicilia sono invece aumentate le superfici (Puglia: 1.247.577 ettari nel 2000 e 1.285.289 nel 2010 (+2,9%); Sicilia: 1.279.706 nel 2000 e 1.387.520 nel 2010 (+7,7%), ma sono diminuite le aziende (in Puglia erano 336.694 nel 2000, sono calate a 271.754 nel 2010 (-19,2%); in Sicilia erano 349.036 nel 2000, sono calate a 219.677 nel 2010 (-37%).
“Questo tsunami - evidenzia il coordinatore - che ha distrutto migliaia di aziende e posti di lavoro, in assenza di una politica agricola efficace, si è verificato in regioni che dispongono di un giacimento d’ oro per il Paese rappresentato da un grano che oltre ad essere buono è anche salubre. In alcune regioni, dove è scarsamente valorizzato, potrebbe valere più del petrolio! Con una differenza: il petrolio inquina, il grano buono disintossica!”
Già, perché la battaglia del grano è  una battaglia per la vita? Una battaglia che non si vince salvaguardando solo l'uso delle sementi certificate o sospendendo le quotazioni. “Il raccolto 2013 pur proveniente da sementi certificate - dichiara - ha subito un repentino calo delle quotazioni già alla raccolta, mentre oggi addirittura siamo quasi al crollo: 24 euro in Puglia e Basilicata e 22 euro in Sicilia, a fronte di un costo di produzione superiore a 30 euro! Gli agricoltori temono perciò una nuova bolla.“
Questa battaglia, al contrario, si vince con l’ informazione. A distanza di molti mesi dalla raccolta 2013, la produzione italiana di grano duro è, infatti, misteriosa. Secondo l'ultima rilevazione Istat la produzione italiana nel 2013 sarebbe diminuita appena di 1.1270.000 qli, mentre addirittura la superficie a duro è aumentata quasi dell’ 1% grazie a quasi centomila ettari in più del meridione!
Un risultato del tutto differente dai dati divulgati da un noto settimanale specializzato qualche settimana fa che riportava un netto calo di superfici e produzioni di grano duro in Italia 2012 vs 2013 (-17% superfici pari a -220.000 ettari, -11% produzione pari a circa -458.000 t).
“La confusione e l'incertezza - sottolinea De Bonis - sono il terreno ideale per la speculazione. E’ corretto imputare un calo di produzione nel meridione che invece non c’è stato, a fronte di un aumento di 2,7 milioni di quintali? E non evidenziare il calo che si stà registrando nel Centro-Nord per circa 3,9 milioni di quintali? Questo fenomeno occultato potrebbe forse dipendere dalla salubrità del grano ovvero dalla presenza di micotossine e dalla crescente consapevolezza dei consumatori? “
Il dubbio è che qualcuno potrebbe avere interesse a far si che la disponibilità teorica di grano duro buono al Sud appaia ridotta, per giustificare le importazioni, mentre i dati dimostrano che la produzione di qualità cresce e sottrae quote di mercato alla produzione più scadente sotto il profilo sanitario.
E se si è prodotto molto grano duro di qualità  in Italia nel 2013 perché ne stiamo importando a manetta dall'estero? Solo una indagine approfondita dell’ antitrust e dell’ antifrode può contrastare la BOLLA SPECULATIVA IN ATTO. Non dimentichiamo che gli industriali sono già stati ‘multati’ una volta dall’ antitrust per aver fatto cartello sui prezzi della pasta!
“In realtà - evidenzia De Bonis - potremmo essere di fronte ad un uso strategico della leva import-export per controllare i prezzi sul mercato nazionale del grano buono attraverso l’ importazione di quello cattivo. L’ alibi è quella della globalizzazione secondo cui l’ Europa può diventare pattumiera delle materie prime che all’ estero non sono commestibili nemmeno per gli animali”.
L’ arrivo in Europa di materie prime di pessima qualità, danneggia la salute pubblica, la bilancia commerciale e avvantaggia solo i profitti dell’ industria di trasformazione, che continua ad affermare strumentalmente che: (i) il grano italiano è insufficiente a soddisfare i nostri fabbisogni e  manca la capacità di stoccaggio, nonostante le misure del Piano cerealicolo nazionale; (ii) il grano straniero è migliore perché è un grano di forza (più proteico) che gli agricoltori italiani non riescono a produrre per garantire la tenuta di cottura; (iii) il made in Italy stà nella ricetta e nello stile italiano con cui si fanno le cose!
“I fatti dimostrano il contrario - dichiara il coordinatore Fima - da un lato, gli agricoltori sono scoraggiati a produrre per via di comportamenti illeciti che rendono antieconomica la coltivazione, ragion per cui ci sono tantissimi silos vuoti. Basta solo censirli. Dall’ altro, hanno dimostrato che è possibile produrre pasta con grano locale. Ci sono tanti piccoli pastifici che lavorano solo semole locali e, peraltro, i consumatori stanno imparando a capire se nel pane vi sono micotossine: basta conservare una fetta di pane per quindici giorni e osservare se si formano muffe”. 
E allora quali politiche adottare? L’ Italia ha spazio per recuperare 685 mila ettari che abbiamo perso in sette anni ed essere autosufficiente in quantità, qualità e salubrità!
Occorre inoltre intendersi sul significato di made in Italy e stile italiano con cui si fanno le cose, aldilà degli schermi legali e lobbistici. “E’ prioritario il know-how - evidenzia De Bonis - che genera profitto per pochi o la salute pubblica e il bilancio dello Stato a vantaggio di tutti? E la presenza dell’ uomo sul territorio non appartiene forse al costume italiano? Il vero made in Italy non è forse rispetto verso la nostra storia e cultura millenaria della pasta fatta con grani locali sin dagli Etruschi, dai Greci e dai Romani? Non è forse vero che nella “valle dei mulini” in Sicilia, all’ inizio del secondo millennio, si fabbricava una pasta, con grani siciliani, che veniva spedita in tutta l’ area del mediterraneo? O piuttosto appartiene allo stile italiano fare cartello e continuare ad adottare pubblicità ingannevoli a danno dei consumatori italiani, senza aver rispetto nemmeno per la salute dei bambini? Dobbiamo privilegiare la tecnologia che ha esasperato la raffinazione delle semole o  tornare alle farine di una volta più integrali?”
La pasta è un simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, un pilastro della nostra alimentazione. “Tuttavia - conclude il coordinatore Fima - se nel mondo un piatto di pasta su quattro è italiano, possibile che ai consumatori italiani non debba essere consentito di poter scegliere, attraverso un marchio, una pasta fatta con il grano di qualità del proprio territorio obbligando in etichetta l’indicazione di origine della materia prima? Perché spacciare per italiana, una pasta la cui materia prima viene dall’ Arizona, dall’ Ontario o dalle Montagne Rocciose o dal territorio francese dei Galli e Celti? Chiunque è libero d’importare, ma quantomeno si vieti di utilizzare i trulli, il tricolore o le donne in abiti tipici con spighe di grano o altre immagini che evocano nella mente dei consumatori la provenienza della materia prima dall’ Italia.”
Per difendere il made in Italy e lo stile italiano autentico che è fatto di valori, la Fima ha consegnato una proposta di legge alla Commissione agricoltura della Camera dei Deputati dal titolo: “Disposizioni per lo sviluppo di grano duro a zero micotossine e di pasta ad alta salubrità prodotta in Italia” con cui si chiede la riduzione dei limiti di micotossine a livello nazionale e l’ adozione di traccianti atossici a livello nazionale e internazionale per le partite di grano che andrebbero destinate ad usi diversi da quello alimentare.

Che dirvi, si nota uno sforzo analitico per capire ed analizzare i problemi della durogranicoltura italiana (anche se tutto infarinato con buone dosi di argomentazioni alla Report prive di alcun riscontro), e ciò non è scontato se date una occhiata ai comunicati dei sindacati tradizionali. 

Sugli indirizzi generali da dare alla PAC a livello nazionale concordo con Fima. Tuttavia le soluzioni proposte, specifiche per il grano duro, le trovo deboli o addirittura controproducenti.

Sulla semente cartellinata non si capisce bene quale sia la loro posizione, visto che prima parlano di salvaguardia delle sementi cartellinate, poi giustamente osservano che le produzioni nazionali del 2013 provenienti da cartellinato non hanno ricevuto alcun riconoscimento dal mercato. Chiarirsi le idee prima di porsi come alternativa ai sindacati tradizionali, credo sia un imperativo categorico. Di compromessi e confusione abbiamo già le bisacce piene.

Ma il vero errore è la proposta di legge sul grano duro a zero micotossine. In realtà leggendo la proposta di legge, non si tratterebbe di zero, ma di significativa riduzione sino a 350 ppb di DON nel grano duro non lavorato dagli attuali livelli di 1750 ppb (se ho ben capito).
Nella convinzione che ciò dovrebbe determinare un freno all'importazione.
Ora sebbene sia vero in linea teorica che le produzioni del Sud-Italia abbiano un livello di micotossine inferiori alle produzioni estere, grazie al clima caldo e asciutto nel periodo di maturazione. Nella realtà commerciale così non è più da tempo (anche se la Gabbanelli dice il contrario).
Canadesi e Statunitensi, infatti, si sempre loro. Sono un passo avanti. Mentre noi discutiamo di amenità, quelli fanno cose concrete...sanno benissimo infatti di rischiare grosso con il livello di DON delle loro granelle maturate in periodo autunnale, e per questo motivo si sono premuniti, abbattendo il livello di micotossine, con una serie di accorgimenti tecnici che vanno dalla trebbiatura centrifuga alla selezione delle granelle con lettori ottici ad infrarosso. Per cui, oggi le loro granelle mediamente non superano i 0.35 ppm ovvero 350 ppb di DON.
Non ci credete, suppongo. Basta dare una occhiata qui, e leggere nella tabella a pagina 12 sulla qualità del grano duro del Nord Dakota (vedi anche sotto).


La media degli ultimi 5 anni è di 0.35 ppm. Esattamente la soglia che dovrebbe bloccare le importazioni.

Dunque perchè affannarsi per abbassare i limiti di DON, quando già i nostri concorrenti raggiungono valori così bassi?
Io credo invece che se dovessimo abbassare i limiti di DON a 350 ppm, le granelle nostrane, vista la nostra impreparazione logistica e tecnica sulla materia, nelle annate piovose in fase di maturazione (rare ma non troppo) le potremo dare ai polli (e forse neanche questo)!
Mentre gli esportatori abbasserebbero ancora di più i loro standard.
In Nord Italia, i limiti troppo bassi di micotossine hanno messo in ginocchio la maidicoltura padana, e dato il via, prima alla importazione di mais OGM, recentemente anche all'uso. Penso che faremmo una fine simile, noi durogranicoltori, se imboccassimo una strada rigorosa sulle micotossine.

Estratto della proposta di legge Fima

11 commenti:

  1. Agricoltore Tarantino10 ottobre 2013 alle ore 23:22

    E' notizia di oggi la riduzione del 4% dei pagamenti diretti oltre i primi duemila euro!
    Quindi, ad esempio, chi fino allo scorso anno riceveva un pagamento di 5.000,00 euro ne dovrebbe quest' anno ottenere solo 4.880,00!

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  2. Giustamente, uno che prende più di 2.000€/anno di questi tempi è ricco... bah!

    Ma cmq è vero quel che leggo sopra, che un pane che ammuffisce molto presto è un pane ricco di grano con microtossine? O è una bufala e sono due cose che tra loro c'entrano poco?

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    1. Bufala, il pane ammuffisce per conto suo, che il grano sia contaminato o meno.

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  3. Non sono un microbiologo per cui prendi il mio commento con le pinze.

    La principale causa della muffa del Pane è l'eccesso di umidità. Trucco tipico del fornaio è quello aggiungere troppo acqua all'impasto, per aumentare il peso della pagnotta. Su qualsiasi pane troppo umido si determineranno fenomeni di alterazione causati da muffe, se non consumato immediatamente.

    Le micotossine sono prodotte dalle muffe, non il contrario. Non mi risulta che il Fusarium, il responsabile del deossinivalenolo (DON), possa continuare la sua attività sul pane e rigenerarsi formando quindi muffe.
    Solitamente le muffe del pane derivano da altri generi come ad esempio Aspergillus, un fungo praticamente ubiquo. E l'infezione è esaltata da ambienti di lavorazione degli impasti del pane insalubri.

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  4. Ci ripetiamo sulle problematiche del settore ma Montecitorio prenderà provvedimenti o ai posteri la sentenza?

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    1. che simpatica Paola,crede ancora che a Montecitorio,ci sia qualcuno che governi il paese-Paola,qual'ora non fosse stata informata,negli ultimi 20 anni Montecitorio non è più la sede del governo,ma bensi un luogo di perdizione dove si magna,se balla e si fà festa alla faccia dei cittadini che lavorano-

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  5. ahahaha questa è buona, il grano contaminato che fa ammuffire il pane dopo "soli" 15 giorni!!!
    E sul posto dove lo si conserva non dice niente?
    Io conosco posti dove anche anche il pane sterilizzato coi raggi X prende la muffa il giorno dopo, se non lo chiudi bene.... d'altronde si tratta di muffe praticamente ubiquitarie. Altro che don!

    Per il resto, comunque, grosse stupidaggini non ne ho lette, e apprezzo davvero il fatto che abbia fatto un po' di sforzo per capire il problema, e si sia documentato un po', cosa che raramente succede da parte di questi qua.....

    L'idea di imporre limiti più stringenti sul DON, secondo me, non è affatto cattiva,
    anzi non mi dispiace: chiaro che è una scelta smaccatamente "sudista", che penalizzerebbe un po' il centro-nord, ma alla fine ricordiamoci che noi della puglia non abbiamo alternativa, mentre da Roma in su potete mettere qual che volete (per esempio il tenero... con rese anche maggiori...).
    E anche in sicilia credo che valga lo stesso discorso della puglia.

    Può darsi che gli americani abbiano la tecnologia per scartare la granella col don, ma guardate che sia la media 2011 sia la media 2012 in Nord Dakota è circa tre volte maggiore del limite di 350 ppb.... a quel punto hai voglia a scartare!
    Selezionare quel grano per portarlo qui diventerebbe antieconomico.

    E' vero che c'è un po' di rischio anche per noi, ma d'altronde è forse l'unico modo per fare un po' di protezionismo sensato....

    orzo

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  6. io avrei chiesto l'introduzione di dazi, e l'abbattimento dei costi di produzione...tutto il resto rischia di ritorcersi contro di noi.

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  7. Questi sono un altro manipolo di sbandati-cè una unica soluzione
    BARRIERE DOGANALI-FRONTIERE-ricordate quando c'erano?ricordate quando c'era quella carta straccia,che tutti disprezzavano,nessuno voleva ma ha fatto arricchire questa nazione?si proprio ella la LIRA-tutto il resto sono solo ...............!!

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  8. Volevo solo ricordare che Report e' una delle poche trasmissioni televisive in Italia rimasta a fare informazione sui problemi reali (non mi interessa il colore politico).
    L'obiettivo dei media in Italia e' solo quello di distrarre il cittadino e non di istruirlo!
    Siamo messi male ma........guardate Report nel mese di novembre.....ho saputo che sono in giro a fare interviste in merito, tra le altre cose, all' art.14 reg cee 2100/94-diritto dell'agricoltore a riseminare la propria semente. Art.68 apertamente antidemocratico-spudoratamente lobbista.
    A me non interessa chi parli o come parli dei temi concreti della cerealicoltura. A questo punto vista l'indifferenza generale l'importante e' che se ne parli.
    Mi fa' piacere che anche la Fima confermi che l'utilizzo del seme certificato non ha migliorato ne' qualita' ne' quantita'! Ma non ci voleva un genio a capirlo!Il cartellino del certificato e' un foglietto che vale 30 euro per il sementiere...e basta.
    Io lo ripeto da anni.Salvaguardare la ricerca genetica e i costitutori e non i sementieri, ma non con finanziamenti a pioggia: scopri una varieta' di duro migliorativa? ti premio!E come cantava il mitico Califfo: Tutto il resto e' noiaaaaaa.....
    Ciao

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  9. Sicuro che Report faccia sempre informazione? forse su alcuni temi, non su tutti a mio avviso.
    Ricordo ancora una puntata di qualche anno fa, in cui gli agricoltori venivano descritti come dei privilegiati, beneficiati da contributi e sussidi Europei indiscriminati. Non so voi, ma non è esattamente la mia posizione.

    In generale la posizione di Report, riscontrata in varie puntate, tesa ad appoggiare il luogo comune secondo il quale la roba estera faccia schifo mentre la nostra produzione alimentare è eccellente, non solo è scorretta, se siamo onesti, ma controproducente.
    I nostri prodotti non è detto che siano meglio o peggio degli altri.
    Allarmismo alimentare e protezionismo sanitario non sono serviti a nulla sinora, se non a farci vivere con l'idea che siamo continuamente gabbati da forze oscure superiori, ma sostanzialmente sempre meno competitivi. E le importazioni non si sono mai arrestate.
    Si affronti in maniera laica la questione, e si proteggano le nostre produzioni per mere questioni economiche, se si ritiene utile...o ci si metta nelle condizioni di competere ad armi pari...tutto il resto è soltanto fumo atto a distrarre l'opinione pubblica ed a evitare che si prendano seri provvedimenti di altra natura.

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