lunedì 2 febbraio 2015

Varietà antiche di grano duro, un punto di vista...scientifico

Sembra che improvvisamente decenni di progresso tecnico e genetico sul frumento si siano  rivelati un clamoroso errore, una nuova epopea è narrata, quella delle varietà  antiche di grano duro, ed uno dei Cantori indiscussi, almeno in Sicilia, è il nostro collega(?) Giuseppe Li Rosi.

Nell'articolo  "I grani antichi tornano sui campi siciliani «Per anni li ho coltivati come marijuana»" su meridio news (pigia qui per il link), Li Rosi racconta la sua esperienza agricola condendola con uno sproloquio contro la granicoltura contemporanea, talmente contraddittorio e fuorviante da far sospettare che nei suoi campi ci fosse realmente la cannabis piuttosto che il frumento.
A nostro avviso si tratta di un coacervo di luoghi comuni, mezze verità, affermazioni indimostrate e tendenziose il cui unico scopo sembrerebbe quello di delegittimare l'agricoltura convenzionale in favore di quella praticata dai coltivatori di varietà cosiddette "antiche".

Tuttavia in questa occasione non siamo i soli a nutrire molte perplessità, anche a Sergio Saia, un nostro collega produttore di grano duro nonché ricercatore presso il Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura e l'Università degli Studi di Palermo, certe affermazioni riportate nell'articolo suddetto non quadrano, così ha preso carta e penna (virtuale) e si è preso la briga di verificarne criticamente e con approccio scientifico alcune di queste. 
Dietro mia sollecitazione ne è uscito poi fuori un articolo, seppur più impegnativo del solito, per il nostro blog.

Eccolo:


I grani antichi ed il metodo scientifico 


 I grani antichi (più correttamente: popolazioni coltivate) sono un argomento attuale ed il web è disseminato di articoli che esaltano la loro superiorità in termini di caratteristiche salutistiche ed impatto sulla salute rispetto ai prodotti a base di farine e semole di varietà moderne. 
La gran parte di questi articoli, tuttavia, riportano informazioni false o quantomeno non confermate. Recentemente, l’ennesimo articolo in materia (catania.meridionews.it/articolo/7703/i-grani-antichi-tornano-sui-campi-siciliani-per-anni-li-ho-coltivati-come-marijuana/) mi ha indotto a scrivere una risposta ad hoc (facebook.com/notes/10152571553741691/?pnref=story) dai toni forse un po’ forti, dipendenti perlopiù dall'esasperazione del dover ribadire continuamente che non si può affermare qualcosa senza averla provata. 
In calce alla nota su FB è inoltre sorto un piacevole dialogo con esperti e amanti del settore.  
Il punto della questione dei grani antichi (e di tanti altri argomenti) è la facilità con cui vengono fatte affermazioni, spacciandole per vere, senza uno straccio di prova in merito. La parola “prova”, appunto, ha una connotazione particolare e chi fa ricerca scientifica attivamente sa bene che “provare” qualcosa non è facile, richiede tempo, sforzi e una corretta esecuzione degli esperimenti. Talvolta, vengono addirittura spacciati come “esperimenti” degli pseudo-esperimenti, che non rispondono realmente alle domande che si pongono o che arrivano a una risposta viziata dalla cattiva pianificazione ed esecuzione degli stessi. I motivi di ciò sono molteplici e non è il caso di dibatterli in questa sede, ma è comunque doveroso informare il lettore che i risultati seri e confermati della ricerca scientifica (almeno per le scienze biologiche) sono collocati in riviste particolari, la gran parte delle quali pubblicate recensite dalla Thomson Reuters nel portale “webofknowledge.com”. Le riviste al di fuori di questo portale, purtroppo, vantano autorevolezza molto raramente e la gran parte dei lavori in esse pubblicate riportano informazioni qualitativamente scarse, per quanto possano apparire accattivanti.  


Nell’articolo pubblicato in catania.meridionews.it vengono riportate molte informazioni non opportunamente vere, per le quali non esistono appunto prove in materia e che corrispondono perlopiù a desiderata di chi coltiva o commercializza prodotti a base di varietà antiche di frumento. 


Di seguito, riporto un’analisi dell’articolo e i miei commenti punto per punto. 


 Il primo virgolettato indica i grani antichi come «digeribili, pieni di sapore e odore». Ovviamente lo sono. E sono digeribili, pieni di sapore e odore anche i grani moderni. Il punto qui, come in altri punti virgolettati dell'articolo, è che non esistono prove scientifiche sulla digeribilità dei grani antichi e moderni, quindi se il virgolettato volesse alludere al fatto che quelli antichi siano più digeribili di quelli moderni, sarebbe un'asserzione senza dimostrazione. Ovviamente è possibile comparare prodotti a base di farine di grani antichi con prodotti a base di farine di grani moderni (o meglio, cultivar recenti), ma spesso queste comparazioni sono condotte in maniera molto opinabile, es. con uno scarsissimo numero di pazienti o comparando prodotti che differiscono oltre che per il genotipo di frumento, anche per eventuali additivi o procedure di preparazione, come fatto, ad esempio, in questo articolo del CESMI: cesmipalermo.com/dettaglionews.aspx?id=367. L’articolo del CESMI, peraltro, non riporta differenze in termini di performance salutistiche tra le due tipologie di prodotti e già nella prima frase delle conclusioni indica che i risultati potrebbero dipendere da effetti placebo, dicendo che <<nei volontari reclutati che attribuiscono i sintomi della SII all’assunzione di pane, pasta, pizza e prodotti da forno contenenti frumento, -appare- , una discreta suscettibilità alla celiachia e/o con la patologia emergente, Gluten Sentitivity>>. Nel lavoro del CESMI sono appunto i pazienti ad attribuire i sintomi all’assunzione di pane e pasta, non i medici.  


Circa due righe sotto il primo virgolettato dell’articolo in catania.meridionews.it, il giornalista dice che "la loro coltivazione - dei grani antichi - è stata abbandonata per decenni e soppiantata dai nuovi grani modificati geneticamente" .Non esistono genotipi di frumento (sia duro, sia tenero) geneticamente modificati attualmente coltivati (si veda http://www.ers.usda.gov/topics/crops/wheat/background.aspx#.UbTFBPYaePU), sebbene ne esistano diversi a fini sperimentali. Il creso non è un frumento geneticamente modificato, ma la progenie di una selezione irradiata. Mi spiace non poter fare una lezione di genetica vegetale delle specie prevalentemente autogame, come il frumento, ma tra le due cose esiste una differenza enorme sia sul piano pratico, sia normativo.  


Il secondo virgolettato riporta: «Tutto inizia quando il grano è stato nanizzato perché cera la necessità da parte dell’industria chimica di piazzare il nitrato di ammonio, residuo della seconda guerra mondiale».Il motivo per cui il miglioramento genetico è stato fatto in direzione della riduzione della taglia del frumento non è quello di piazzare il nitrato d'ammonio (ed il creso non è l’unico genotipo a taglia bassa, ne esistono altri). Innanzitutto, il miglioramento genetico non è stato fatto dalle industrie chimiche. 


In secondo luogo, la produttività dei genotipi di frumento a taglia bassa è più elevata rispetto a quella dei genotipi a taglia alta anche in condizioni di scarsa disponibilità di azoto (ad esempio in assenza di concimazione). Posso portare una quantità notevole di risultati sperimentali su questo aspetto. Se volete, alcune potete trovarle cercando i risultati del progetto "Azioni di innovazione e ricerca a supporto del Piano sementiero PRIS 2. Ed. Regione dell'Umbria" che raggruppa dati provenienti da tutte le regioni d'Italia, soprattutto quelle meridionali. Se non la trovate, potremmo far richiesta alla Regione Umbria di pubblicarle il pdf sul blog. Lo stesso vale per il frumento tenero.  


I motivi per cui i genotipi a taglia bassa producono di più rispetto a quelli a taglia alta sono sostanzialmente tre:


1)    producono molta meno biomassa e quindi possono destinare più azoto alla granella;

2)    tendono ad allettare di meno e quindi ad essere meno attaccati dai patogeni;

3)  hanno un'epoca di spigatura notevolmente anticipata, quindi riescono a localizzare la fase di riempimento in un momento in cui gli stress idrici e termici sono ancora contenuti (ciò vale soprattutto per gli ambienti siccitosi). Il Creso, nella fattispecie, ha un ciclo più tardivo dei genotipi a taglia bassa moderni, e la sua maggiore produttività rispetto ai genotipi antichi dipende da quanto esposto nei punti 1 e 2. 


 Più avanti, Li Rosi, in un virgolettato, dice che il creso è stato fatto con il pretesto di risolvere il problema della fame del mondo. Non è affatto stato fatto per questo e la fame nel mondo non si risolve certo con una nuova varietà di frumento, ma produrre di più (non solo frumento, ma anche mais, riso, orzo, banane, etc) di certo favorisce la riduzione della fame nel mondo.  


Da questo punto in poi, vengono riportate informazioni con errori madornali. Il virgolettato seguente riporta infatti: «togliere il diritto del seme al contadino, disseminare per il mondo grani sempre più iperproteici che il nostro intestino non riesce a digerire dando il via a tutte le intolleranze e le allergie».Questa frase va discussa in due parti. 


Innanzi tutto il frumento è una varietà autogama (cioè si autofeconda) e per quanto riguarda il frumento duro, non esistono varietà terminator (quelle varietà il cui seme non germina e che quindi possono essere seminate solo per la produzione di granella) in commercio (ovviamente esistono per fini sperimentali). Ciò significa che se vi comprate una varietà e la riproducete, la progenie mantiene le caratteristiche parentali. Quindi il diritto del seme al contadino non è stato tolto. Per alcuni anni, la UE ha vincolato l'integrazione anche all'uso di seme certificato, il che non è stato opportunamente un male in quanto il seme autoprodotto era spesso impuro (cioè ricco di semi infestanti) e non sempre encomiabile dal punto di vista sanitario, con ripercussioni negative sulla salute delle colture. Ovviamente, con dovuti accorgimenti (prevenzione delle fitopatie e adeguata protezione per la coltura e pulizia del seme) è possibile produrre seme in azienda con caratteristiche qualitative elevate tanto quanto quelle del seme certificato, ma ciò può implicare un aggravio per l’agricoltore e l’acquisizione di competenze (per mantenere la purezza genetica) che non sempre è conveniente mettere in atto.  


Nella seconda parte viene riportato che i grani iperproteici non dovrebbero essere digeribili e dovrebbero aver dato il via a intolleranze e allergie. Anche in questo caso, non esiste uno straccio di prova. Questo errore madornale viene ripetuto continuamente e non esiste in alcun database scientifico il più vago riferimento a ciò. Senza contare che le varietà antiche, proprio in virtù della loro minore produttività, hanno spesso un tenore proteico più elevato delle varietà moderne (ovviamente a parità di disponibilità azotata). 


Ovviamente, tutti coloro ai quali fino ad ora viene richiesta la prova di questa asserzione falliscono. Nessuno che porti mai un risultato di una prova in un ospedale, sia esso negli Stati Uniti, Italia o Cina, o di una prova in vitro. Niente. Purtroppo, chi non sa (o fa finta di non sapere) come funziona la ricerca scientifica, si affida spesso a informazioni parziali, molto parziali e in giro per il web c'è tutto e il contrario di tutto. Si veda, ad esempio, l’articolo riportato nel seguente link: http://www.npr.org/blogs/thesalt/2013/09/26/226510988/doctors-say-changes-in-wheat-do-not-explain-rise-of-celiac-disease.  


Il virgolettato successivo allude al sistema immunitario delle piante. Le piante non hanno un sistema immunitario (perlomeno non con il significato classico attribuito a questo). Ovviamente hanno sistemi di resistenza sistemica alle avversità. Tuttavia, come vi dicevo, le varietà moderne producono più di quelle antiche anche in condizioni di scarsa disponibilità di nutrienti, quindi tornando ai genotipi antichi, l'esigenza di concimare e difendere le colture rimarrebbe (come sempre, potremmo fornire nel blog i risultati delle prove, tradotti in italiano, e il riferimento in cui trovarle).  


Il virgolettato successivo dice che: «Hanno tentato di cancellare i grani antichi dalla faccia della terra per poter vendere i semi su cui le ditte sementiere e le multinazionali hanno i loro diritti».Anche questo è un falso. Tutte le società sementiere hanno sempre cercato i frumenti antichi in quanto è da quelli che pescano la variabilità necessaria per costituire le nuove varietà. Ovviamente, ciò non implica che le ditte sementiere debbano favorire la coltivazione su larga scala delle varietà antiche, è ovvio che cerchino di vendere le loro varietà e se gli agricoltori hanno abbandonato la coltivazione dei grani antichi in favore di quelli moderni è per la maggiore produttività di questi. E di contro, ovviamente, le varietà antiche hanno tutta la ragione di essere coltivate, soprattutto se il loro prodotto può essere valorizzato. Sui diritti non commento perchè l'ho fatto prima.  


Ancora, viene detto che lo scambio di semente di popolazioni antiche sia illegale. Ovviamente non lo è e vi invito a postare il riferimento normativo in cui ciò viene prescritto. Ovviamente non rientrano nel registro varietale nazionale e il motivo di ciò è semplice: non sono varietà, sono appunto popolazioni o linee. Attualmente (gennaio 2015), è in atto un dibattito in sede UE sulla normativa che regolerà l’uso delle varietà antiche, ma non è ancora stato fatto niente in concreto.  


Nel virgolettato a seguire l’articolo riporta «Ho capito che se mi avessero scoperto mi avrebbero bloccato i contributi europei per l’azienda. Quindi per circa otto anni li ho seminati come se fossero marijuana».Come vi dicevo su, fino a qualche anno fa l'aiuto comunitario era legato all’utilizzo di seme certificato. Io non ho idea di chi, ai tempi, potesse produrre seme certificato di genotipi antichi, i quali erano comunque coltivabili legalmente. Mi chiedo semmai se il Li Rosi pretendesse gli aiuti comunitari violando le regole degli stessi. Ovviamente, possiamo discutere della giustizia morale di certi cavilli normativi (alcuni dei quali, come saprete, già aboliti), ma il punto è che lui asserisce che fosse illegale coltivarli (nella parte in grassetto), il che è falso. 


 Nel paragrafo seguente il giornalista si riferisce ai 4 genotipi coltivati da Li Rosi come "con un bassissimo indice di glutine e per questo digeribili". Purtroppo per lui e per chi gli ha passato l'informazione, l'indice di glutine (che è solo una misura di un aspetto tecnologico del glutine e non della sua quantità, né della sua concentrazione relativa) non è relazionato con la digeribilità. Come detto precedentemente, non esistono prove in merito e i risultati parziali invitano invece a ben altre considerazioni. Ad esempio, non è stata osservata una riduzione in composti bioattivi in funzione dell’epoca di rilascio del genotipo (Shewry et al. J. Agric. Food Chem., 2011, 59 (3), pp 928–933 DOI: 10.1021/jf103860x) e non c’è quindi ragione di pensare, a priori, che un grano antico debba essere più digeribile di uno moderno perché ha un glutine meno tenace. Ovviamente, se avete prove del contrario, sarei ben lieto di leggerle. Mi pare assodato che la parola "prova" ha una connotazione ben precisa e un post su internet non è una prova. Posso mostrarvi, se desiderate, come e dove cercarle. Purtroppo, il 99,99% delle informazioni sono in inglese (anche quelle che escono dalla mia penna) perché la ricerca deve poter essere letta da tutti i ricercatori in tutto il mondo ed è fuori di dubbio che al momento la lingua veicolare è l’inglese.Continuando, devo rispondere che l'indice di glutine alto non "velocizza il processo di pastificazione", come riporta Li Rosi, bensì lo cambia radicalmente e il suo effetto maggiore non è sulla velocità, ma sulle caratteristiche della pasta (in particolare la tenacità).  


Più avanti viene anche detto che «il nostro intestino non lo riconosce - il glutine - e comincia a produrre radicali liberi che causano mali che vanno dalle allergie ai tumori». Anche su questo non ci sono prove. Ovviamente, se così fosse, saremmo tutti morti, vista la quantità di glutine che mangiamo. Ma siccome non voglio scadere in ovvietà, anche in questo caso vi dico che se trovate prove in materia, sarò ben lieto di cambiare la mia opinione. Vi anticipo che le cerco continuamente, senza risultati.  Al contrario, esistono evidenze di forme di celiachia non-responsive anche in pazienti che non ingeriscono glutine (www.biomedcentral.com/1471-230X/13/40) e ciò potrebbe dipendere da altri composti (non del glutine e talvolta nemmeno proteici) delle farine e semole (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24077239). 


Certo che relazionare l’insorgenza dei tumori all’ingestione di glutine mi sembra eccessivo, quando invece tale insorgenza potrebbe essere stata determinata, dagli anni ’70 ad oggi, dall'enorme incremento dell'inquinamento, della tipologia e quantità di farmaci, degli additivi alimentari, dal cambio della dieta, dalla riduzione delle fibre vegetali nella stessa, etc etc etc e ovviamente dalle differenze nell’efficienza delle diagnosi.  


Altra frase assurda è «Il prezzo lo decido io e non Chicago, sede della borsa mondiale del grano a settemila chilometri di distanza». Ovviamente, il prezzo del suo frumento risente comunque dei prezzi della granella delle varietà moderne. Se il prezzo del frumento sale (ovunque questo sia stabilito), lui può permettersi di alzare anche il suo. Se il prezzo scende, meno persone saranno disposte ad acquistare il suo ad un prezzo elevato. Questa è la semplice funzione della offerta composta. Avete mai notato la relazione tra prezzo del carburante e dello zucchero? O quella tra prezzo del mais e prezzo del frumento?  


In seguito dice che: «a differenza dei grani moderni abituati a ricevere il concime dall'alto, sono capaci di trovare micronutrienti nel terreno che vengono trasferiti nel prodotto finito».In questa frase c'è un fondo di verità. In effetti esistono delle prove in materia: i risultati non dicono affatto che i grani antichi assorbano più micronutrienti di quelli moderni, ma comunque ne assorbono la stessa quantità, il che suggerisce che non abbiano la capacità, suggerita dal Li Rosi, di assorbire più micronutrienti dei grani moderni. Il fondo di verità sta nel fatto che assorbendo la stessa quantità di micronutrienti e producendo di meno, la concentrazione dei micronutrienti nella granella dei grani antichi è generalmente più alta che in quella dei grani moderni. Lo stesso ragionamento, purtroppo, non vale per l'azoto, il fosforo e il potassio.  
Non vado oltre solo perché non ho ragione di commentare le uscite pubblicitarie.

Insomma, fare scienza non è semplice ed avere risultati sicuri, soprattutto per il variabilissimo clima mediterraneo, è molto difficile. Le parole "prova", "confronto" e "dimostrazione" hanno connotazioni particolari, che andrebbero rispettate prima di attribuire gli effetti di qualcosa a qualcos'altro. Per queste ragioni, prima di affermare che i grani antichi sono la salvezza del mondo e le varietà moderne la sua condanna, servirebbe un minimo di criticità, che nell’articolo commentato è assente, ed estrema cautela, visto che certe affermazioni possono creare preoccupazioni nel consumatore e spingerlo verso le varietà antiche per salvaguardare la propria salute, il che non è certo vero, almeno finché non esiste una prova a riguardo.

13 commenti:

  1. Ottimo post che mi trova quasi completamente d'accordo e ,provocazione la stessa impostazione dovrebbe essere adottata nel dibattito sugli ogm.Di contro ,alcune considerazioni ,la prima: La corsa alle proteine ,è da anni che l'industria molitoria ha individuato il maggiore contenuto in proteine come "maggiore qualità" e di fatto oggi è l'unico requisito che la stessa riconosce nella premialità aggiuntiva.E' veramente così? Saia dice che non c'è evidenza scientifica ma è davanti agli occhi di tutti l'esplosione della celiachia ,certo può essere anche l'affinamento dei mezzi diagnostici che ha fatto emergere il problema, ma una domandina e una correlazione dobbiamo farcela ...Sono stati eseguiti studi in tal senso? e se no non andrebbero svolti? ps.ma il principio di precauzione vale solo x gli ogm? La seconda : la corsa spinta della ricerca verso varietà produttive e la conseguente scelta degli agricoltori non hanno di fatto ristretto le possibilità di scelta? a me x esempio che sono in biologico viene arduo trovare varietà a taglia alta che mi sono necessarie x far competere il mio grano con le infestanti. Il carattere taglia bassa è stato rivoluzionario indirizzando la granicoltura verso un forte impiego di mezzi tecnici giustificato da un significativo aumento delle produzione ben remunerate.Ma oggi è ancora così? l'aumento spropositato del costo dei mezzi tecnici non seguito da quello del grano pone il problema di non perseguire la maggior produzione ma il maggior reddito che evidentemente non coincidono più.La ricerca tiene conto di questa nuova esigenza?

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  2. Ho interesse a rispondere anche sugli OGM, ma non lo farò, in questa sede, per evitare di distogliere l'attenzione su questo argomento. Lo farò in un post ad hoc più in la.

    Andiamo al succo: il problema della qualità è annoso. Non è mio interesse difendere l'industria, ma il contenuto in proteine (e il peso ettolitrico, la bianconatura, il contenuto in ceneri e sopratutto la composizione delle proteine stesse) sono caratteri qualitativi tecnologici, non sensu lato.

    Per inciso, definire la qualità è un compito davvero arduo. L'industria, in tal senso, definisce la qualità secondo le proprie esigenze e non la si può certo biasimare per questo.

    Se una data varietà ha una qualità tecnologica intrinsecamente bassa (ad esempio, le vecchie qualità difettano più per composizione delle proteine che non per concentrazione nella granella), ovviamente deve essere valorizzata in maniera diversa da quanto fatto nell'industria. Da questo punto, come nel caso di Li Rosi, non possiamo negare che integrando la filiera, lui valorizzi altri aspetti qualitativi (diversi da quelli tecnologici) delle popolazioni antiche. E ben venga.

    L'esplosione della celiachia c'è. Ribadisco che non 'è evidenza scientifica della relazione tra esplosione della celiachia e nuove varietà. La domanda da porsi, in questi casi, è come epurare l'effetto di altri fattori sulla insorgenza della celiachia (es: quantità di amilacei ingeriti, additivi alimentari, riduzione delle fibre vegetali, etc). Ma mi preme dire che, da ricercatore, non avrei nessun problema se venisse evidenziata scientificamente una relazione tra nuove varietà e celiachia. Io mi limito a descrivere il mondo, non ho interesse a piegare i risultati alle mie ipotesi.

    Sul fatto che andrebbero fatti studi in tal senso, credo che chiunque sia d'accordo. Anche questo è un argomento diverso dal presente, ma in questa sede, ti (e vi) invito a pensare che i fondi destinati alla ricerca scientifica scemano a vista d'occhio e i ricercatori devono pur sempre riempire la pancia. La mia non è una lamentela, è una costatazione (cioè, se non metti il carburante nella macchina, non lamentarti se prima o poi il motore si ferma).

    Sulle ultime cose che dici, sopratutto sull'ultima frase, la risposta è "si, la ricerca tiene conto di questa esigenza". Chi non tiene conto di ciò sono spesso gli agricoltori (ed io, come avrai letto, sono anche un produttore) in quanto spesso sono lenti nell'aggiornarsi a nuove metodologie di produzione e vendita, in primis nell'integrazione verticale della filiera. Questo vale un po' per tutti i settori, dalla cerealicoltura, all'olivicoltura, alla viticoltura, etc.

    Sergio Saia.

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  3. Gli standard di qualità non le definiscono l'industria,ma bensi i consumatori,i quali oltre al gusto devono coniugare al consumo del cibo il lavoro il tempo libero e l'intera vita sociale che essi fanno-più proteine, minor rischio di avere una pasta scotta,possibilità di fare altro mentre esso cuoce e possibilità di servirla a più persone in tempi diversi,è la società odierna che detta certi standard -
    In merito all'articolo,tolto gli sproloqui (ma ci mancherebbe solo che uno rilasci una intervista per denigrire ed infangare il suo lavoro) mi viene da dire:tanto rumore per niente-

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  4. Scusa, Mimmo, ma come detto, la qualità non si definisce facilmente e in effetti di essa non c'è una definizione univoca.

    Io non ho detto che l'industria definisce la qualità tout court, ma che la definisce "secondo le proprie esigenze". Allo stesso modo, anche i consumatori la definiscono secondo le loro esigenze e queste variano ampiamente. Per qualcuno la qualità della pasta dipende dalla tenuta alla cottura, per altri dagli aromi, per altri dal minore impatto dei suoi sistemi di produzione, etc.

    Tuttavia, quando un produttore vuol vendere a una industria, non si può lamentare se questa sia disposta a comprare ai propri termini qualitativi. Allo stesso modo, tu non saresti disposto a comprare, da me, qualcosa che per te è qualitativamente scarsa e per me buona.

    Il mio intervento serviva proprio a dire questo: non stiamo ad ammazzare il lavoro degli altri (sia esso l'industria o altro), ma pensiamo a valorizzare il nostro (produttori in convenzionale, biologico, di varietà moderne, antiche, etc).

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  5. Ottimo post! Complimenti al dr. Saia per il rigore analitico e per la sua visione realistica e obiettiva delle relazioni agroindustriali. I "grani antichi" sono una grande risorsa genetica, sulla quale bisognerebbe ragionare in modo strategico e senza demagogia.
    Cordiali saluti
    HL

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  6. Complimenti al dottor Sala ..Bel post.. interessante
    Non trovo per niente assurda "la frase il prezzo lo decido io"
    Se si escludono le commodities quotate come tali a Chicago ...vi sono molti produttori spesso anche trasformatori ma non esclusivamente, che avendo richieste di mercato del loro prodotto , superiore alla loro produzione,non hanno necessita di ammazzare il lavoro di altri.
    si limitano a fissare il prezzo(maggiorato ma non quintuplicato) a cui vendere tutta la loro produzione( e solo quella) a quel prezzo,direttamente o a un trasformatore venditore di prodotti da banco... indipendentemente dai mercati e relativa volatilità.

    Ciò che ancora non è provato non può considerarsi definitivamente non vero..
    Il metodo scientifico è un buon metodo probabilmente il migliore..ma ha dimostrato di non essere privo di limiti:non sempre consente di cogliere a tempo piccole variazioni esponenziali( sia positive che negative)..di fattori che poi si sviluppano a medio lungo termine,difficili da identificare e provare nel breve periodo in cui sono condotti di solito gli studi scientifici .
    Capisco anche la necessità dell'agroindustria di dare a dei consumatori, (che in gran parte ha perso la capacità di autovalutazione e senso critico) e anche ai produttori..(che in un mercato globalizzato .. ma non solo..si vorrebbe continuare a far produrre...con il minimo di rivendicazioni economiche possibili)
    risposte anche quando non è possibile averne . (magari pure rassicuranti) .
    Ma inventarsele o sottendere risposte favorevoli al proprio scopo ,comporta a lungo andare..sostenere a volte l'insostenibile creando sfiducia..difficile poi da riconquistare...se non con il rimbecillimento ..con pubblicità e informazione farlocche ..ed è quello a cui noi produtrori abbiamo assistito e stiamo assistendo e non ci stiamo guadagnando..

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  7. Sbaglio o proprio il CRA ha inventato un procedimento di calcolo per la qualita' del grano duro?
    Lo stesso viene utilizzato anche per la valutazione delle varieta' nel Registro Nazionale.
    Sembra che abbiano cercato di spingere in tutti i modi varieta' con alto indice di glutine.....poco digeribili.
    Non si puo' negare che questo non sia un condizionamento del mercato e della coltivazione degli agricoltori.
    Purtroppo sembra che l'Indice Globale di Qualita' inventato dal CRA sia UNA GRANDISSIMA "SOLA" o "PACCO"
    http://www.agronomyjournal.it/index.php/agro/article/viewFile/ija.2006.s1.203/30
    sembra anche che una serie di valutazioni e report qualitativi, siano poco veritieri e addirittura manipolati

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    1. non capisco sinceramente la sua risposta.

      Innanzitutto non comprendo cosa c'entri l'intervento sul CRA.

      In secondo luogo non capisco, come avanzato nella sua terza frase, sulla scorta di cosa asserisca che l'indice di glutine sia relazionato alla scarsa digeribilità (il che è indimostrato, a meno che non porti una prova in atto).


      Se poi qualcuno tra i miei colleghi (del CRA) abbia voluto fare un indice globale di qualità (IGQ) che era contestualizzato ad un dato momento storico, non ci vedo nessun pacco in tal senso. Semmai può dire che tale indice non è attualissimo o al più che non è adatto a determinate valutazioni (ad esempio, non viene presa in considerazione la composizione in "composti nutraceutici e biofortificanti", per quanto vengano descritti).

      Ovviamente, i tecnici, come lei avanza, non tengono in considerazione l'indice in maniera statica, ma lo associano a una analisi critica del contesto e di tutte le variabili, così come un ematologo non legge le analisi del sangue semplicemente riferendosi ai valori soglia, ma tiene in conto delle relazioni tra i diversi parametri misurati.

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  8. Non credo che storicizzare qualcosa serva a non dargli più un senso, anzi, credo possa succedere il contrario. E non ho manco elogiato l'IGQ, al punto che alla fine ho detto che un buon tecnico non di deve accontentare di un numero. E il fatto che venga usato per l'iscrizione delle varietà al RNV poco cambia, visto che i miei commenti non erano finalizzati ad argomentare la procedura di definizione dei pesi dei singoli fattori.

    Per quanto riguarda la digeribilità e la collosità, non è invece chiaro che le due dovrebbero essere relazionate. Senza contare che se fosse un problema di "digeribilità", le verdure ci ammazzerebbero, visto che non siamo in grado di digerire la cellulosa e la lignina.

    Sulla famosa puntata di report, programma che ritengo ottimo, non commento perchè non l'ho ancora vista, ma ammettendo che lei non abbia travisato qualcosa detto in quella puntata, voglio quantomeno fare presente che nella puntata sul biologico (argomento di cui mi occupo molto) sono state dette molte cose sbagliate e tendenziose. Purtroppo capita.

    Sugli articoli che mi posta (li conoscevo entrambi), senza nulla voler togliere all'Italian J. of Agronomy (anche io ho recentemente pubblicato in quella rivista), non posso farle notare che si tratta di articoli relativamente vecchi e che discutono dell'ardua definizione di qualità (quello di Flagella) e di una proposta di cambio del metodo di calcolo dell'IGQ (quello di Russo). La prima varia molto facilmente con il tempo, la seconda riporta una proposta di un nuovo metodo di calcolo, ma non mi pare, dagli stessi risultati presentati, che perlomeno il ranking delle varietà venga stravolto, salvo la posizione di qualche genotipo. Senza considerare che l'utilizzo dell'IGQ è comunque sensibile a una scelta normativa, la quale potrebbe non essere valida fra poco. E di fatto, ad esempio, le scelte normative hanno già toccato altri aspetti del comparto tra cui l'obbligo del seme certificato, la condizionalità, etc.

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  9. Bell'articolo una visione disincantata del fenomeno di diffusione dei grani antichi che sta prendendo sempre più campo più per moda che su concrete ragioni merceologiche o qualitative. Ciononostante, bisogna ammettere come il fermento che si sta creando attorno ai grani antichi possa avere delle benefiche ricadute sul mercato dei cereali, seppur rimanendo un mercato di nicchia. Forse non saranno la panacea nè ai mali dell'uomo nè a quelli del mercato dei cereali ma possono essere un modo per conservare le nostre tradizioni al di fuori di un museo facendo conoscere il patrimonio che risiede nelle nostre campagne.
    Una piccola nota: modestamente la qualità la fà l'informazione che è ciò che fa pensare ai consumatore cosa sia buono o cosa sia cattivo e quindi più spesso l'industria o chi attraverso le campagne informative "istruisce" i consumatori.

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    1. Concordo su tutto ciò che dice e per fugare ogni dubbio voglio aggiungere che non sono affatto contrario ai grani antichi, anzi!
      Ritengo che oltre ad essere un bagaglio di caratteri (alleli, tecnicamente parlando) preziosi e oltre a poter avere una ricaduta positiva sul mercato dei cereali, potrebbero avere anche ricadute più larghe (es. trasformazione e quindi indotto).

      Anche la sua nota è corretta. La qualità è dettata dalla informazione e spesso è una moda, più che una esigenza reale. E ciò vale sia per le caratteristiche dei grani antichi, sia per quelle dei prodotti a base di cultivar moderne. Purtroppo, fare una battaglia contro i mulini al vento dell'informazione e dei suoi effetti sulla percezione della qualità è inutile, se non controproducente. Al più è possibile cercare personalmente di fare informazione, purché non lo si faccia con notizie non vere e con conflitto di interessi.

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  10. bene...... sulla base delle sue risposte ritengo inutile continuare una polemica visto che esistono solo le Sue opinioni e Verita'..........vorra' dire che conviene aspettare solo un po' di tempo in modo che anche le sue opinioni risultino datate e da cestinare.
    La matematica non e' un opinione e se alcuni soggetti accreditati come autorevoli in campo scientifico propinano Bufale e metodi matematici sballati e dati pseudo scientifici manipolati e sballati ebbene..... i suoi colleghi non sono attendibili e non e' attendibile chi cerca di difenderli o di non essere critico a riguardo.
    Io la chiamo onesta' intellettuale
    passo e chiudo

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  11. io non ritengo che esistano solo le mie opinioni e verità, ritengo semmai che le cose vadano sviscerate. Lei mi propina un discorso sull'indice di qualità fuori contesto. Io sono contento di parlarne, ma non vedo in che modo le mie opinioni in materia dovrebbero essere discordanti rispetto al discorso dei grani antichi.

    Sulle tempo e su ciò che questo causa alle opinioni, ribadisco quanto detto nel post precedente e cioè che la storia insegna, non vanifica. Ma la storia va saputa leggere e in ogni caso non deve essere interpretata a propria convenienza.

    Sui soggetti che propinano bufale o formule sbagliate e su chi li difende voglio tuttavia tornare, visto che asserisce che io li difenda. Se rilegge con attenzione i miei post, vedrà che non è affatto così e che in più casi ho detto che va fatta una lettura critica dei loro risultati (mi cito: "i tecnici non tengono in considerazione l'indice in maniera statica, ma lo associano a una analisi critica del contesto e di tutte le variabili").

    Io la chiamo "lettura con tranquillità". Mi chiedo se nella sua foga abbia letto i miei post in maniera parziale e li abbia interpretati a propria convenienza, sul piano dello scontro?
    Saluti.

    PS: come ha visto, non ho problemi ad assumermi le responsabilità dei miei gesti e delle mie parole. Non per volerla bacchettare, ma è piacevole parlare con qualcuno che non si nasconda dietro l'anonimato o un nome falso.

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