"Non per rompere le uova nel paniere, ma l'obbligo di seme certificato è l'unico modo per garantire la tracciabilità del prodotto al fine di ottenere semole ( e quindi pasta ) 100% italiane. Inoltre senza l'obbligo di cartellinatura e quindi con il reimpiego del seme proprio, la qualità va a farsi benedire in quanto il grano sarebbe soggetto a disgregazione genetica, dando ai molini la scusa per importare prodotto dall'estero affossando ancora di più il mercato nazionale.
Ovviamente son pronto a sentire e discutere con te il tuo punto di vista, ma è verità universale che a lungo andare, l'utilizzo di seme non cartellinato danneggia l'agricoltore anzichè agevolarlo."
Se non ho capito male, i due principali vantaggi legati all'uso della semente cartellinata sarebbero rappresentatati dalla difesa del prodotto nazionale e dalla sua migliore qualità. Proverò a dimostrarti che così non è.
Difesa del prodotto nazionale
In Italia la domanda di grano duro è circa il doppio del’offerta nazionale. L’importazione è quindi necessaria per mantenere la produzione di pasta. Circa la metà di grano importato dall’estero è di origine canadese, ovvero grano di altissima qualità in grado di correggere le nostre semole nazionali a basso tenore in glutine.
La famosa pasta al dente italiana, è in realtà un prodotto della globalizzazione.
In ogni caso il riutilizzo di proprio seme aziendale, è la più efficace barriera all’introduzione di varietà estere. Non a caso la scomparsa definitiva di molte varietà autoctone si è verificata proprio da quando fu reso obbligatorio l’uso del grano cartellinato.
La tracciabilità al fine di proteggere un prodotto nazionale a me appare dunque un argomento debole, se non addirittura controproducente.
Qualità
La qualità con la cartellinatura c’entra molto poco, a mio modesto avviso. Se il grano duro prodotto da grano cartellinato fosse di qualità superiore, ogni agricoltore o almeno i più illuminati lo comprerebbero spontaneamente (visto che sul mercato oggi la qualità spunta prezzi migliori). Invece così, stranamente non avviene. Infatti non esiste alcuna evidenza scientifica, analitica o semplicemente pratica che il prodotto derivante dal cartellinato sia migliore di un buon grano autoprodotto in azienda di 3°-4° generazione.
Il grano è una specie autogama, l’inquinamento varietale è un processo molto lento se si usa un minimo di accortezza, in ogni caso ogni agricoltore di buon senso sa bene che è consigliabile su parte dell’azienda seminare del grano selezionato in modo tale da ottenere l’anno successivo il seme per l’intera azienda.
Obbligare la semina di grano cartellinato su tutta la superficie aziendale è un immane spreco di risorse, oltre che una abnorme limitazione della discrezionalità operativa di ogni agricoltore-imprenditore, che va a beneficiare una stretta cerchia di soggetti protetti, e non certamente i produttori, men che meno la filiera.
Per rafforzare il mio ragionamento ti chiedo: perché sul grano tenero lo stesso obbligo non è mai stato previsto? non mi pare che si assista su di esso a fenomeni di “disgregazione genetica”, anzi la dinamica varietale, la produttività ed il progresso qualitativo sul tenero sono certamente più elevati del duro.
Ed ancora perché reintrodurre l’obbligo solo in Sicilia? Perché solo gli agricoltori siciliani dovranno essere sottoposti alla reintroduzione dell’obbligo di semente cartellinato?
E’ evidente, in una terra dove molte cose girano per il verso sbagliato, anche il grano duro deve sottrarsi alle semplice regole del mercato per diventare oggetto di scambio politico-clientelare.
concordo!!!!!!!
RispondiEliminaCarissimo, devo contraddirti su un paio di punti del tuo articolo.
RispondiEliminaLa produzione di grano duro in Italia da sola basterebbe al fabbisogno nazionale, se non fosse di qualità troppo bassa rispetto agli standard qualitativi imposti dalla legge e dal mercato, tant'è vero infatti che siamo forti esportatori di grano in paesi in cui la qualità non è uno standard richiesto. Il vero problema è proprio questo.
A causa della bassa qualità del prodotto nazionale siamo costretti ad acquistare grano dal canada e dall'australia per "aggiustare" il nostro, quando tutto si potrebbe risolvere adottanto una tecnica colturale ma soprattutto una scelta varietale più responsabile.
E' ovvio che se continuiamo a seminare varietà a cui siamo abituati quali simeto, duilio, ciccio, iride etc, i cui valori di proteine vanno dall'8% al massimo all'11,5%, la storia non cambierà mai, tenendo presente che il valore minimo di proteine deve essere del 12% per arrivare a pastificazione. C'è però un'inversione di rotta di molti agricoltori siciliani che si son visti il proprio prodotto pagato fino a 30 centesimi/kilo in più del prezzo di mercato seminando varietà proteiche. Per assurdo, le varietà che stanno salvando la qualità del prodotto siciliano, non sono originarie della sicilia. (continua)
Sul discorso qualità, il grano dopo un tot di anni è soggetto a disgregazione genetica, molto diversa dall'inquinamento varietale da te nominato. Questo significa che il grano torna ad avere caratteristiche ancestrali (come ci insegna il buon Mendel) con la conseguente perdità di qualità e di omogeneità. Direi che questa è un'evidenza scientifica, riscontrabile anche in campo, quindi anche pratica.
RispondiEliminaInoltre, l'utilizzo di seme non certificato, il cui commercio è illegale e suscettibile di sanzioni penali mentre anche il semplice utilizzo è comunque passibile di azioni legali, causa un blocco della ricerca rendendoci, nel prossimo futuro, sempre più dipendenti dai paesi esteri.
Inoltre ti rendo noto che l'obbligo di utilizzo di sementi di grano tenero certificate, è decaduto nel 2009, solo un anno prima rispetto al grano duro. La differenza è che gli agricoltori hanno continuato ad utilizzare sementi certificate per i molteplici vantaggi di carattere agronomico ed economico. La scienza ci insegna che la disgregazione è un fenomeno di tutte le specie vegetali, a partire dai frutti, in cui la totale disgregazione avviene in un solo ciclo vitale. Il grano, sia esso tenero o duro, non ne è esente.
Mi trovo daccordo con te solo su un punto. La reintroduzione dell'obbligo dovrebbe avere effetto a livello nazionale, non regionale, per tutti i motivi sopra esposti.
Carissimo mi contraddici su tutto invero.
RispondiEliminaPur essendo il tuo intervento molto stimolante, sono costretto a risponderti al momento con questo breve commento. L’attività agricola ha la precedenza come ben capirai.
Mi limito a notare che:
Abbiamo basi scientifiche del tutto divergenti, la tua genetica mi risulta del tutto inedita.
Vorrei capire in quale testo di genetica dei cereali tu ed il lettore moriar avete letto il termine “disgregazione genetica“, termine che al massimo può venir buono per parlare di razze canine.
Io ho studiato la deriva genetica o la segregazione degli alleli. Fatemi capire meglio cosa intendete possibilmente con termini scientifici riconosciuti, visto che l’argomento è estremamente scientifico.
Inoltre dove hai letto che il grano dopo tot anni torna ad avere caratteristiche ancestrali?
Non mi risulta, anzi è una panzana senza ombra di dubbio. Questo ragionamento può andar bene per il mais e per tutti gli ibridi, ma il frumento ibrido ancora non è all‘ordine del giorno.
Mi preme inoltre sapere visto gli inquietanti risvolti legali paventati nel tuo intervento, quale legge, norma, codice, regolamento, o circolare vieta agli agricoltori il reimpiego aziendale del proprio grano?
Magari mi è sfuggito qualcosa, spero vorrai essere così gentile da informare meglio me ed i lettori del blog.
Sul resto ti darò puntuale riscontro, non appena potrò.
Quasi dimenticavo, sono disposto a darti ragione su tutto, se sarai così gentile da spiegare a me ed ai lettori del blog dove è possibile vendere grano con una maggiorazione di 30 cent/kg rispetto al prezzo di mercato.
RispondiEliminaParigi val bene una messa.
Come promesso torno sugli argomenti sollevati dal lettore "moriar", dopo aver reperito tutte le fonti che supportassero i miei ragionamenti, per completezza di informazione ed amore di verità. (in virgolettato la posizione di moriar).
RispondiElimina- “La produzione di grano duro in Italia da sola basterebbe al fabbisogno nazionale, se non fosse di qualità troppo bassa rispetto agli standard qualitativi imposti dalla legge e dal mercato, tant'è vero infatti che siamo forti esportatori di grano in paesi in cui la qualità non è uno standard richiesto. Il vero problema è proprio questo.”
Nel 2008 invece a me risultano
Import 1.6 milioni di t di grano duro
Export 0.3 milioni di t di grano duro
Dati Istat vedi www.cesp.it/sez1109952952/Frumento_duro.pdf
Nel 2010 questa differenza si accentua
Import 2.3 milioni di t di grano duro
Export 0.42 milioni di t di cereali vari (tenero, duro, etc.)
http://agronotizie.imagelinenetwork.com/vivaismo-e-sementi/2011/02/17/cereali-import-ed-export-nei-primi-undici-mesi-del-2010-10811.cfm
Evidentemente sei male informato. Noi Italiani siamo fortemente deficitari.
-"A causa della bassa qualità del prodotto nazionale siamo costretti ad acquistare grano dal canada e dall'australia per "aggiustare" il nostro. E' ovvio che se continuiamo a seminare varietà a cui siamo abituati quali simeto, duilio, ciccio, iride etc, i cui valori di proteine vanno dall'8% al massimo all'11,5%"
La nostra qualità nazionale non è poi cosi bassa.
Nel 2010 in Sicilia 10,29 % media regionale delle proteine.
Vedi http://www.ilgranoduro.it/qualita.aspx
Ma nelle regioni del centro-Nord supera tranquillamente la media del 13%
Vedi http://www.micotossine.it/public/pag_1375.pdf
Eppure le varietà sono praticamente le stesse.
Al Sud, tuttavia, abbiamo un gap che non potrà essere colmato da nessuna varietà in maniera significativa e con le attuali tecniche di miglioramento genetico. E’ quindi un problema quasi esclusivo di somministrazione azotata. Dare troppo azoto al Sud può essere rischioso e controproducente sia dal punto di vista economico che agronomico.
Nessun cartellino potrà mai aumentare le proteine del frumento se l’azoto viene (giustamente somministrato) in modica quantità, mettiti il cuore in pace.
- “Inoltre ti rendo noto che l'obbligo di utilizzo di sementi di grano tenero certificate, è decaduto nel 2009, solo un anno prima rispetto al grano duro”.
Questo è l’unico aspetto su cui avevi ragione. Salvo però dimenticare che l’uso di sementi certificate per il duro era in vigore dal 1994 grazie al Ministro Poli Bortone sino alla campagna 2009-2010, per il tenero soltanto dalla campagna 2004-2005 sino alla campagna 2008-2009. Una breve parentesi conclusasi senza nessuna nostalgia per il tenero. Per il duro invece assomiglia più ad un supplizio biblico, cui non si sa bene perché, da domani forse dovranno essere sottoposti i durogranicoltori siciliani.
Sono sempre curioso di sapere cosa ci insegna la scienza sulla disgregazione genetica.
Tanto ti dovevo.
P.S. Se vuoi tutte le fonti te le fornisco. Quelle inserite nel testo sono soltanto una parte.