Premetto, io sono un po' scettico, solitamente, verso il genere di iniziative che vi sto per presentare, perché credo che il consumatore medio, soprattutto in periodi di crisi economica come questo, suo malgrado, è indirizzato verso il consumo di prodotti alimentari commerciali di costo medio-basso e conseguente qualità, infischiandosene allegramente mentre si aggira tra i freddi corridoi del supermercato, dell'origine del prodotto e/o della materia prima, nazionale o meno.
Tuttavia non posso fare a meno di riflettere che se continuiamo sulla strada del consumo di prodotto estero, perché siamo su questa strada oramai da quasi 10 anni, ed i risultati della nostra bilancia commerciale (anche quella agroalimentare) lo testimoniano, la nostra economia nazionale, più o meno lentamente, collasserà.
I produttori italiani falliranno per primi, anzi lo stanno già facendo, messi fuori mercato da produzioni a basso costo di origine estera, l'industria collegata ad essi e non delocalizzata all'estero li seguirà a ruota, il PIL si ridurrà e lo Stato non avrà i denari necessari per continuare a gestire la baracca, visto che il prelievo fiscale sui prodotti esteri, per varie ragioni, è ridotto rispetto ad uno prodotto integralmente italiano.
Tuttavia non posso fare a meno di riflettere che se continuiamo sulla strada del consumo di prodotto estero, perché siamo su questa strada oramai da quasi 10 anni, ed i risultati della nostra bilancia commerciale (anche quella agroalimentare) lo testimoniano, la nostra economia nazionale, più o meno lentamente, collasserà.
I produttori italiani falliranno per primi, anzi lo stanno già facendo, messi fuori mercato da produzioni a basso costo di origine estera, l'industria collegata ad essi e non delocalizzata all'estero li seguirà a ruota, il PIL si ridurrà e lo Stato non avrà i denari necessari per continuare a gestire la baracca, visto che il prelievo fiscale sui prodotti esteri, per varie ragioni, è ridotto rispetto ad uno prodotto integralmente italiano.
Se avessimo dei politici capaci e con la volontà di perseguire gli interessi nazionali, avremmo già imposto dei freni alle importazioni, attraverso meccanismi protezionisti come fanno sapientemente i paesi BRIC (le economie vincenti in questa fase storica), oppure qualora fossimo ancora in possesso della sovranità monetaria, avremmo determinato svalutazioni valutarie, tali da limitare il fenomeno, rendendo anzi più competitive le nostre esportazioni.
Purtroppo siamo in Europa, con tutti i paletti, i ricatti, ed i vincoli del caso, e dobbiamo fare da noi, cittadini ed imprese, perché come ben sappiamo nessuna politica di crescita e sviluppo, è prevista dal governo dei banchieri.
Una strada potrebbe passare dalla costituzione di filiere produttive esclusivamente italiane, dalla materia prima alla trasformazione (un made in Italy vero, e non quella pallida ombra che ci propinano) ed un conseguente consumo consapevole da parte dei nostri connazionali. E visto che questo piccolo blog si occupa principalmente di grano, eccovi la notizia, da cui ho preso spunto:
Una strada potrebbe passare dalla costituzione di filiere produttive esclusivamente italiane, dalla materia prima alla trasformazione (un made in Italy vero, e non quella pallida ombra che ci propinano) ed un conseguente consumo consapevole da parte dei nostri connazionali. E visto che questo piccolo blog si occupa principalmente di grano, eccovi la notizia, da cui ho preso spunto:
ROMA - Arriva la prima pasta autarchica, italiana al 100%, dal campo allo scaffale. Il piatto-simbolo dell'italianita' infatti non e' mai totalmente made in Italy, quasi sempre e' prodotto con frumento importato. Una collaborazione inedita Coldiretti-Coop porta sulle tavola una pasta a marchio garantito e alta qualita', che valorizza territorio e grano italiani, frutto di un'esperienza innovativa di co-imprenditorialità che taglia la filiera e paga in modo equo i produttori di zone svantaggiate.
Una sorta di ''compromesso storico'' della tavola tra soggetti spesso antagonisti lungo la filiera agroalimentare, i quali hanno pero' deciso di mettere insieme le risorse migliori del Bel Paese: italiano al 100% e' il grano, italiani al 100% sono i produttori e la rete della distribuzione. Non solo, il nuovo prodotto veicola anche un forte valore aggiunto ambientale, economico e nutrizionale: il grano arriva tutto dal cuore della Sicilia, dalla zona di Enna, salvando cosi' dall'abbandono interi territori in zone difficili, garantendo occupazione e reddito a lavoratori in una fase di forte crisi.
Tra i protagonisti del progetto Coldiretti-Coop c'e' infatti il pastificio Cerere del Consorzio agrario Lombardo Veneto, situato in provincia di Enna. In base all'accordo - spiegano Il presidente di Coldiretti Sergio Marini e il presidente di Coop Italia Vincenzo Tassinari - il grano sara' pagato agli agricoltori a un prezzo premiante. L'origine del grano e' un vantaggio anche per i consumatori, come insegnano i nutrizionisti. Per la maggiore qualita' e il minore contenuto di aflatossine (classificate potenzialmente cancerogene), che aumentano a causa dei lunghi trasporti del cereale importato e la sua conservazione in ambienti umidi. I cinque formati di pasta di grano duro trafilata al bronzo, a essiccazione lenta, no ogm, arrivera' negli scaffali degli oltre 1.400 punti-vendita Coop con il marchio unico 100% Italia.
Coldiretti e Coop, eredi della tradizione produttiva democristiana e comunista, non certo dei nazionalisti sfegatati, mettendo da parte riferimenti e consorterie, hanno capito che non è più il momento di sorpassate divisioni post-ideologiche che favoriscono l'accesso di merci globalizzate nel nostro paese. Finalmente sarà realtà un marchio di pasta industriale italiano prodotto integralmente con grano italiano, e commercializzato su larga scala; sinora sono esistiti marchi locali con grandi difficoltà di penetrazione nella grande distribuzione, mentre le grandi marche di pasta italiana hanno utilizzato grano duro di origine straniera almeno per il 40%, come ben sappiamo.
In questo caso peraltro sarà utilizzata materia prima siciliana (e forse da qui la mia malcelata simpatia per l'operazione) , ma già al Centro-Italia, una filiera simile sta partendo con il pastificio Chigi.
Insomma, la strada autarchica, per quanto irta di difficoltà e dai soliti "cittadini del Mondo" dileggiata, potrebbe rappresentare una delle poche vie praticabili, a questo punto, per salvare il salvabile, perché di questo si tratta. Certo va da se, che questa operazione non dovrà essere di facciata come tante volte, purtroppo, è accaduto, e dovrà creare una realtà produttiva e commerciale efficiente, organizzata ed autonoma. Non mi illudo che per i produttori ci sarà, chissà, quale vantaggio economico a partecipare a questa iniziativa, almeno nella prima fase, però se si riesce davvero ad affermare un marchio integralmente italiano e si diffonde la consapevolezza e la necessità di consumare italiano, avremo già raggiunto un obiettivo, mettere un freno alle importazioni di materie prime ed alla commercializzazione di prodotti agro-industriali falsamente made in Italy.
Anche se siamo guidati dagli Schettino di turno, il nostro comportamento virtuoso potrebbe consentire a questo Paese di continuare a navigar. C'è ancora tanta gente che lavora e produce nell'economia reale, se l'Italia andrà in bancarotta, potrete star sicuri, non sarà stata colpa nostra.
E'proprio questa la soluzione,ma Monti,e Napolitano non lo sanno,continuano a dire da tutti i pulpiti,che la Cina e' un'oppotunita'siamo con un piede nella fossa e'vanno in giro in Cina ha chiedere elemosine.Ricordo quando ero piu' giovane che la fiat,aveva il 60%,del mercato italiano la sentivamo nostra,anche se le auto non erano il massimo ,pero'con orgoglio uscivamo in 127,o 128 oppure la bellissima 124,ricordate?.Ora basta vedere Marchionne,e subito vai ha comprare una Kia.
RispondiEliminaSpero che questa iniziativa sia supportata dai produttori per il tempo necessario a creare fiducia nei consumatori, i quali devono riconoscere nel piatto di pasta la loro identita nazionale e devono diventare fieri di consumare un prodotto totalmente italiano.
RispondiEliminaBen vengano altre iniziative simili.
Si l iniziativa è lodevole,ma con il vento che tira mi vien da dire:riunione di volpi?stragi di galline.A voi decidere chi sono le volpi e chi le galline,fino a quando i nostri costi saranno superiori a quello dei nostri concorrenti,queste iniziative lasciano il tempo che trovano,anche perche la trasparenza nel settore alimentare è pressoche inesistente,e la speculazione che la circonda è ferocia e spietata,vedi anche alcuni casi di concorrenza fatta dallo stato stesso con gli incentivi alla delocalizzazione,TIPO IL PECORINO ROMANO-
RispondiEliminaIntanto per sbaglio è uscita fuori anche quest altra schifezza,di cui noi italiani non siamo immuni,e su questi argomenti che le associazioni di gategoria dovrebbero focalizzare le attenzioni dei consumatori,no mettersi a vendere pasta.
http://ilfattaccio.org/2012/04/20/pink-slime-lo-scandalo-della-melma-rosache-sta-minando-il-consumo-di-carne-negli-usa-video/
si, vero, la mancanza di competitività delle nostre aziende, rispetto ai concorrenti esteri, rimane.
RispondiEliminaE' il problema vero del nostro sistema produttivo, e questo blog ha sempre coerentemente sposato questa tesi, senza farsi illudere da operazioni di marketing, che possono risolvere soltanto i problemi di qualche decina di aziende, abili a promuoversi.
Però mi ero stancato di postare sempre di robe che non vanno, almeno questa iniziativa danno non dovrebbe fare al sistema economico. Sempre meglio che plaudire al ribasso dei prezzi della Coca-cola come fa Confindustria Sicilia.
Sia ben chiaro,queste iniziative sono salutari per i nostri prodotti,se a farle non fossero questi soggetti,i quali nel corso degli anni si sono talmente integrati bene nel sistema corrotto italiano che non sono più credibili,chi sà quale diavoleria avranno escogitato per lucrare su chi lavora,o di quale sovvenzione si approdigeneranno a scopo di lucro,io non mi fido più di nessuno,questo paese non si poteva ridurrere in queste condizioni solo per colpa di singoli soggetti,il danno è stato fatta da tutta questa marmaglia commistionata tra di loro.
EliminaIntanto, oggi, abbiamo anche questo -http://www.tzetze.it/tzetze_news.php?url=http%3A%2F%2Fwww.ilfattoalimentare.it%2Fsicurezza-alimentare-allerta-latte-valle-aosta.html&key=aebc89f34fece3376b9df2ab7ef7f91a6cc415b4
magari questi della COOP avranno apprreso l'anno scorso,propio da questo blog,che in Sicilia il grano viene pagato agli agricoltori siciliani sistematicamente meno rispetto agli altri agricoltori italiani,se non ricordo male l'anno scorso dicevi che a Taranto il prezzo fosse 5 -8 centesimi di più
RispondiEliminagià produrre pasta in Sicilia conviene, visto il prezzo del grano generalmente inferiore a quello delle altre piazze italiane. E non lo penso soltanto io.
RispondiEliminaSe noti, infatti, il pastificio Cerere, di cui si parla sopra, è di proprietà del Consorzio Lombardo-Veneto.
L'apporto della GDO italiana come la COOP, è fondamentale per la risuscita di una operazione del genere, piaccia o meno, il marchio.
Penetrare il mercato con successo, su grande scala, senza l'alleanza con la GDO è impossibile. Loro sono bravissimi ad indirizzare il consumatore verso un tipo di prodotto, all'interno di un corridoio con decine di marchi diversi.
Alla trebbiatura l'anno scorso, rispetto alla piazza di Foggia, quotavamo circa 5 €/q in meno (con punte di 6). Al momento siamo circa a -2 €/q, una bazzecola.
da agricoltore pugliese:
Eliminapremetto che sono contrario per infiniti motivi a propaganda sciovinista.Non è sempre vero che il prodotto italico è il migliore in assoluto.
Non soffermatevi alla differenza di prezzo della borsa merci.
Basta vedere come viene determinato il prezzo per capire quanto sia malato il sistema.
Spesso il nostro grano viene caricato e venduto a paesi terzi mentre importiamo il restante.
Gli amici siciliani sapranno aggiungere informazioni.
Le cifre in sè spesso sono ingannevoli.
Se dobbiamo parlare di grano dovremmo iniziare a parlarne come i canadesi, con classe merceologica ben definita.
La prima classe canadese attualmente sul borsino di altamura oscilla a circa 31 euro. La quarta classe circa 26 euro.
Per ottenere una buona pasta a volte è sufficiente miscelare poche quantità di ottimo grano canadese con del buon grano italiano. Altre volte no.
A proposito: Granduro potresti aggiornare il link del borsino di altamura?
L'esigenza di comprare italiano è principalmente di carattere economico, nel senso più ampio, e di questo ne sono assolutamente convinto.
EliminaNessuna persona di buon senso può credere che il prodotto italiano sia in assoluto migliore degli altri. E mai su questo blog, mi pare, ho espresso a priori questa posizione.
Io sono dell'idea che chi lavora bene va ammirato e gratificato, qualunque sia la sua nazionalità.
Si, noi siculi vendiamo al Nord-Africa, anche se nessuno lo dice (trovi le notizie nelle agenzie economiche internazionali).
Sul concetto di buona pasta avrei da ridire, perché fa riferimento ad un modello creato a tavolino, come pura strategia di marketing da una noto marchio italiano.
La pasta che tiene la cottura e non scuoce, per la quale è necessario il grano iperproteico (molte volte canadese), in realtà non ha nessuna affinità con la tradizione della pasta italiana. Purtroppo la pubblicità ha cambiato la nostra percezione del gusto e ci costringe ad inseguire un modello di pasta del tutto estraneo alla tradizione ed alla vocazione produttiva granicola.
Il nuovo link di Altamura non lo trovo, tempo fa feci un appello sul blog evidenziando che Altamura non aggiornava, ma nessuno sembrò accorgersene. Me lo mandi tu? Ciao
La nostra produzione nazionale non è sufficiente, soltanto perché le condizioni economiche attuali, non consentono di raggiungere la massima produzione nazionale.
EliminaPotremmo aumentarla significativamente, se fossimo, nelle condizioni di potere competere alla pari con gli altri concorrenti.
A metà degli anni '80, la superficie nazionale destinata a duro era di 1,8 milioni di ha, oggi siamo a circa 1 milioni di ettari.
Potremmo fare da noi tranquillamente, peraltro per le produzioni proteiche, in Italia Centrale sono in grado di produrre proteico quanto i Canadesi.
La nostra produzione non è omogenea, perché non ci sono sistemi abbastanza premianti, vero. Però alla fin fine, il Canadese superselezionato, non è che spunti prezzi molto più elevati. E' evidente che loro hanno margini maggiori, legati ai minori costi di produzione, e non ad un maggior valore delle produzioni (alle quali devi togliere pure i costi di trasporto per attraversare l'Oceano).
Abbassiamo i costi di produzione in Italia, che dipendono dai prelievi fiscali ed alla farraginosità burocratica e vedrai che da importatori ci trasformiamo in esportatori in breve tempo.
Si, Altamura l'ho sistemata, credo. Però non aggiornano più la pagina riepilogativa dei listini settimanali, sempre le solite cose all'italiana "arripizzate".
Circa la discussione che proponi, mandami un breve scritto per rappresentare sinteticamente quanto è esposto nel link che ci hai fornito. E vediamo di adescarla.
da agricoltore pugliese:
EliminaI dati degli anni '80 sono drogati dalla vecchia pac (1 milione di lire ad ettaro se coltivato a grano duro, 300000 lire se coltivato ad altri cereali).
Adesso che il titolo è identico a prescindere dalla coltura diviene normale (compresa la coltura del nulla) diviene normale vedere un crollo del genere.
Le attuali classi merceologiche sono ancora figlie di quel sistema.
Quelle cifre, secondo me, sono ormai utopiche, anzi, con la nuova pac potrebbe essere ancora più al ribasso gli ettari destinati al duro (considerando il prezzo del tenero o dell'orzo soprattutto).
Non è vero che non è premiata la qualità, ma che non è punita la bassa qualità. In Canada non premiano la qualità ma puniscono la bassa. Da noi alcune varietà resistono proprio perchè non viene punita dal mercato la loro granella scadente.
Pugliese ci stiamo incartando in un sterile dibattito, mi pare,
Eliminarispetto al topic originale,
conviene mettere su una filiera italiana per i produttori e l'economia nazionale, oppure no?
se, pensi che sia sfavorevole o neutro, spiegamelo meglio, perché io non lo ho compreso.
Con un nick come il mio capirai, che ho bisogno di una esposizione piana e chiara.
Io credo che sinché ci saranno ettari di seminativo abbandonato in Italia (come purtroppo accade, e che rappresentano un grave spreco per tutti noi), dovremmo mettere in pratica delle politiche economiche che non favoriscano l'importazione o almeno la limitino.
A mio parere, noi siamo perfettamente in grado di fare ottima pasta di ogni genere, vista la grande variabilità pedoclimatica del territorio italiano.
Una volta raggiunto il plafond (dal quale siamo certamente lontani) produttivo, allora si importi pure.
da agricoltore pugliese:
RispondiEliminaconcordo con te che stiamo andando un pò off-topic.
Se ritieni opportuno apri una discussione sul grano duro italiano.
Possiamo iniziare parlando delle classi merceologiche italiane e quelle estere, delle relative quotazioni sia italiane che estere, dei costi di trasporto sia nazionale che estero,di stoccaggio, dei contratti di filiera,insomma una piccola tabella comparativa tra noi e loro.
tu sembri avere le idee più chiare di me, e con dati a disposizione che io non ho prontamente disponibili.
EliminaSarò lieto di pubblicare quanto mi invierai, che a prima vista, ritengo estremamente interessante.
Ciao
già in vendita a quanto pare
RispondiEliminaandate su
http://www.e-coop.it/portalWeb/portale/index.jsp
e fate scorrere le immagini centrali.
Sembra la pasta della nazionale italiana, se fate caso ai colori del pacco.